"'Son contento di morire ma mi dispiace, mi dispiace di morire ma son contento': ecco Gigi Proietti secondo me oggi che tutta l'Italia lo sta piangendo come merita perchè se n'è andato non un grande ma un grandissimo, io penso che lui si sarebbe fatto una risata, avrebbe tirato fuori la sua verve ironica, la sua romanità e a tutti noi avrebbe risposto con la canzone di Ettore Petrolini che aveva reso ancora più famosa". Parla così in un'intervista all'ANSA Enrico Montesano, romano anche lui, più giovane di quattro anni, con cui oltre alla passione per il teatro ha condiviso un film che a distanza di oltre 40 anni è ancora un cult assoluto: Febbre da cavallo di Steno .
Questa coincidenza morte-compleanno è "davvero assurda, se non fosse vera sarebbe un colpo di teatro poveretto lui oppure, per dirla da Armandino Felici detto er Pomata, una mandrakata.
Infatti stamattina appena saputo - racconta ancora Montesano - che purtroppo non ce l'aveva fatta ho pensato, 'te possino a Mandra' proprio oggi? Ma che è na mandrakata?". Quel film attraversa le generazioni "anche se è la fotografia perfetta di una Roma sparita". Gli aneddoti si sprecano e spiegano in un certo senso perchè è "un sempre verde" (ma molto di più): "Febbre da cavallo non è un film ma un miracolo di alchimia, tutto è perfetto dalla regia alle scene ai costumi alle musiche.
Steno - si lascia andare ai ricordi Montesano - è stato il grande artefice assieme al produttore Picchio Infascelli e agli ideatori, non li chiamo sceneggiatori apposta perchè loro hanno ideato, scritto un copione bello in realtà diventato un canovaccio perchè noi continuamente cambiavamo aggiungevamo, avendo grande libertà dal regista. Gigi si è inventato tante cose e pure io. Sul set erano continue risate reciproche, si faceva fatica a girare, ad essere seri: oltre me e Gigi anche Mario Carotenuto, l'avvocato De Marchis, era un continuo di battute e Adolfo Celi pure straordinario. Ci divertivamo come matti. E' un film che rende giustizia al patrimonio immenso dei caratteristi del cinema italiano degli anni '70, Valentino Simenoni Bleky, Giancarlo Gregorini er ventresca, Ennio Antonelli Manzotin con la sua cravatta giallarossa. Mi ricordo che per prepararlo giravamo per Roma con Steno e la costumista, andavamo nelle sale delle scommesse, allora si giocava solo ai cavalli guardando su monitor in bianco e nero le dirette di Capannelle e degli ippodromi italiani. Una di queste volte beccammo un giocatore che sul punto di scommettere disse 'è il mio substrato coscienziale che mi spinge a giocare'. Una frase che poi è finita nella requisitoria di Carotenuto. Ieri sera mia moglie Teresa mi ha detto 'ma che maglietta brutta avevi, ma era proprio così che si portavano allora. Quel film mette nostalgia".
Febbre da Cavallo a parte, Montesano ha condiviso con Proietti la passione per il teatro: "Gigi aveva una padronanza assoluta, aveva un'abilità di eloquio non comune, era un oratore straordinario, con una grandissima voce, non dimentichiamo che aveva cominciato come cantante nei night club maturando una capacità di intrattenimento pazzesca. Ci sono due spettacoli che per me sono la storia: la maratona di Vittorio Gassman Sette giorni all'asta e A me gli occhi please di Proietti. Ci frequentavamo ogni tanto, una volta gli offrii di fare la regia di un mio spettacolo ma lui era schivo, aveva i suoi, mi disse di no". E la romanità? "Come Alberto Sordi, Gigi Proietti è stato un re di Roma. Oggi scompare un pezzo di romanità", dice Enrico Montesano, "aveva una conoscenza della città profonda, come se avesse assorbito la terra, l'ambiente ed era capace di interpretarla". Siete stati 'rivali'? "Fra due primi attori comici - ammette - una sana rivalità c'è sempre ma io avevo grande stima e così lui di me, stima e rispetto reciproco enorme. Ciao grandissimo Gigi". (ANSA).
Montesano, addio Gigi Proietti, "da Pomata a Mandrake le mejo risate"
Stima e rispetto assoluto per un grandissimo, un re di Roma