Venire bollato da molti, a torto, il film "sulla separazione dei Beatles": è la prospettiva negativa, che secondo il regista Michael Lindsay-Hogg, ha pesato sul suo film dedicato ai Fab Four, Let it be, uscito nel 1970, un mese dopo lo scioglimento della band di Liverpool, che ora si potrà riscoprire in versione restaurata rimasterizzata (dalla Park Road Post Production di Peter Jackson) su Disney+ dall'8 maggio.
Il film non fiction, che negli ultimi 50 anni era diventato quasi invisibile (a parte qualche vecchia copia in home video e bootleg finita anche online) è tornato sotto i riflettori grazie a Get Back, la docuserie di Peter Jackson uscita nel 2021, tratta da 60 ore di filmati girati in 21 giorni nel 1969 da Lindsay-Hogg (restaurati e rimasterizzati dal regista neozelandese) e da oltre 150 ore di audio inedito, realizzati durante le leggendarie 'Get Back Sessions' a Londra culminate anche nell'iconico ultimo live insieme sui tetti degli Apple Studios a Savile Row.
Un racconto rivelatore e appassionante sulle dinamiche nella band, che ha conquistato pubblico e critica, consentendo adesso anche una nuova vita per Let it be. A quel tempo "nessuna delle grandi band aveva ancora realizzato documentari come questo - spiega nella conferenza stampa internazionale in remoto Lindsay-Hogg, classe 1940, autore anche, fra gli altri di The Rolling Stones Rock and Roll Circus e Celebration: The Music of Pete Townshend and The Who -. Ed ero molto consapevole che nessuno aveva mai veramente raccontato le prove dei Beatles prima. C'erano stati piccoli frammenti in tv, ma io li avevo davanti costantemente mentre provavano, bevevano tè, fumavano, cercavano di comporre musica. Sapevo che il film avrebbe avuto un significato storico". Quelle grandi band "non erano particolarmente protettive nei confronti della loro immagine, mentre al giorno d'oggi, gli artisti e il loro management sono molto più consapevoli nel volerla controllare, per evitare tempeste di negatività su YouTube e i social media".
Oggi il racconto delle star della musica è spesso "molto più manipolato e guidato, per far apparire gli artisti sempre accessibili, amichevoli e ammirevoli, mentre in quegli anni i musicisti non avevano quel tipo di preoccupazione. Certo, non volevano dare un'impressione sbagliata ma non si preoccupavano così tanto di controllare tutto quello che dicevano. Band come Beatles, Rolling Stones o gli Who erano composte da persone che non si facevano manipolare, avevano la sicurezza che ti viene dall'essere dei veri artisti". Ad ostacolare una nuova uscita di Let it be per tanti anni c'è stato anche un problema di diritti, e soprattutto, negli anni '70 "molti, si chiedevano che senso potesse avere rivederlo, dato che i Beatles non esistevano più, e tutti avevano ormai carriere soliste" spiega. Così Let it be "è stato abbandonato". Una cosa "che trovavo molto triste, perché pensavo fosse un ritratto molto edificante e molto toccante allo stesso tempo". Il film mostra i Beatles "per come realmente erano, evidenzia cosa li divideva ma anche cosa li portava a stare stare insieme". Un racconto che nel film culmina "nel famoso live sul tetto, dove vediamo quanto potessero essere uniti e quale vera gioia provassero nell'esibirsi di nuovo insieme. E' qualcosa che resta, ed è molto commovente". Il cineasta è grato a Peter Jackson, "che grazie anche alle tecnologie sviluppate in Nuova Zelanda ha reso possibile questo ritorno e per avere da subito chiesto, dopo il debutto di Get back e ancora di più dopo il successo della docuserie, che riuscisse anche Let it be". (ANSA).
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