Spreco alimentare: ciascuno faccia la propria parte. Il tema ci riguarda tutti e da qualche tempo è al centro del dibattito sociale. Quando si spreca del cibo non è solo la cosa in se' che finisce nella spazzatura ma anche tutte le risorse necessarie per produrlo, dall'acqua alla terra, incluso il lavoro di chi lo ha realizzato. Se sprecato, il cibo ha un effetto dannoso sull'ambiente - è responsabile dell'8% delle emissioni globali di gas serra. Con il tempo, i soldi e l'energia necessari per produrre e preparare il cibo, non ha senso sprecare tutto ciò che è ancora perfettamente commestibile. Eppure, secondo i dati della Fondazione BCFN , in Italia ognuno di noi spreca 65 kg di cibo pro-capite l'anno, principalmente per comportamenti sbagliati nel consumo -in casa e al ristorante. Gli stili di vita ci portano a consumare sempre più pasti fuori casa (sono ben 13 milioni gli Italiani che consumano dai quattro ai cinque pasti a settimana al bar o al ristorante), e gli sprechi alimentari fuori casa rappresentano il 21% del totale. E nel mondo gli sprechi alimentari nel 2030 potrebbero aumentare del 61% rispetto alle quantità attuali.
Cambiare tutto questo si può, migliorando il comportamento individuale in casa innnanzitutto (per sapere di più come fare si può leggere la campagna Spreco Zero dello spin off Last Minute Market). E poi ridurre i consumi e riciclare il più possibile (il 18 marzo tra l'altro è la giornata mondiale del riciclo).
Ma qualcosa si muove nel settore della ristorazione ormai coinvolto direttamente. Laura Michelini e Ludovica Principato, ricercatrici di Lumsa e Roma Tre hanno mappato il fenomeno ricercando le buone pratiche già in atto, modelli da seguire. La maggior parte degli sprechi alimentari nella ristorazione avviene durante la fase di preparazione degli alimenti (45% del totale), o nei piatti dei clienti (34%), o per deterioramento dei cibi (21%) . Di conseguenza, le responsabilità del tanto spreco sono da attribuire agli chef, a coloro che lavorano nelle cucine, ai clienti finali, ma anche ai gestori dei ristoranti che pianificano spesso degli acquisti sbagliati.
"Purtroppo però non tutti i gestori di ristoranti ritengono che limitare gli sprechi porti a un risparmio economico . Non tutti sanno infatti che per ogni dollaro investito nella riduzione degli sprechi alimentari c’è un ritorno dell’investimento fino a 14 dollari , e il settore ristorativo appare tra le attività imprenditoriali con i rientri maggiori", dicono all'ANSA Michelini e Principato (quest'ultima autrice per Spinger del libro “Food Waste at the Consumer Level”).
Quali sono le buone pratiche per ridurre il fenomeno nelle cucine dei ristoranti? Gestori e chef dovrebbero pianificare al meglio gli ordinativi di cibo e definire con attenzione i menu; evitare il deterioramento dei cibi controllandone date di scadenza e conservazione, riutilizzare il cibo avanzato per nuove e gustose ricette e permettere al cliente di scegliere la mezza porzione per evitare gli avanzi nei piatti. Il cliente, cioè noi, invece dovrebbe essere in grado di capire il suo livello di fame prima di ordinare i piatti, e in caso di avanzi, avere la possibilità di chiedere un contenitore per portarli a casa e consumarli in un secondo momento. Il problema è che la cosiddetta doggy bag molto amata e richiesta dalle popolazioni anglosassoni, non è ancora così utilizzata nel nostro Paese per ragioni prettamente socio-culturali. Secondo uno studio recente, il 90% degli italiani ritiene che nei ristoranti si sprechi una grande quantità di cibo, ma ben il 41% si imbarazza a chiedere la doggy bag.
In questa scenario si inseriscono anche i nuovi modelli imprenditoriali digitali, le cosiddette piattaforme di food sharing, che si propongono di ridurre gli sprechi alimentari, in particolare nel settore della distribuzione e della ristorazione. Una recente ricerca condotta dall’Università LUMSA e l’Università Roma Tre ha messo in evidenza come le piattaforme di food sharing, sebbene abbiano un obiettivo comune di riduzione degli spechi alimentari, siano però caratterizzate da modelli di business molto diversi tra loro.
Alcune piattaforme hanno una vocazione essenzialmente non profit come il caso di Foodsharing.de, tra le prime iniziative di foodsharing in Europa, e che grazie al coinvolgimento di tanti volontari ha costruito una rete paritaria P2P di foodsaver che condividono cibo in eccesso attraverso l’uso della piattaforma (modello sharing for the community).
Così come non profit è anche la piattaforma italiana BringtheFood, un progetto del gruppo ICT4G della Fondazione Bruno Kessler, che però mira a ridistribuire il cibo in eccesso di produttori e distributori alle organizzazioni non profit (modello sharing for charity). Un progetto che ha tra i suoi elementi di innovazione e forza la rete sul territorio, grazie ad accordi con i consorzi di produttori locali, le Acli e le sinergie con Banco Alimentare BringtheFood e con la Comunità di San Benedetto al Porto a Genova (Don Gallo). BringTheFood per la Ristorazione rende immediata la donazione delle eccedenze alimentari di mense aziendali e scolastiche, consentendo un recupero e una redistribuzione entro le 24 ore di prodotti freschi e cotti. I gestori delle mense sono in grado di misurare le proprie eccedenze attraverso statistiche sui piatti donati e sul gradimento da parte dei propri utenti. Gli enti caritativi organizzano il giro di raccolta sapendo sempre chi ha qualcosa da donare e cosa. Per i privati, BringTheFood permette a chiunque di usare lo smartphone per condividere le proprie eccedenze alimentari con altri utenti iscritti nella stessa zona. E recentemente ha rilasciato una app per monitorare in casa Quanto Spreco stiamo facendo (e dunque lista della spesa sul telefonino, statistiche, tracciamento dei prodotti in dispensa, persino ricette con gli avanzi).
Tra le piattaforme con un maggiore orientamento al profitto (sharing for money), che mira quindi a bilanciare la volontà di risolvere il problema degli sprechi alimentari e allo stesso tempo garantire una sostenibilità economica della piattaforma, vi è Too Good To Go (Troppo buono per essere buttato, un titolo che già spiega tutto), una start up nata in Danimarca e oggi presente in 10 paesi europei (da poco anche in Italia). La piattaforma, opera nel mercato business to consumer (B2C), e raccoglie le offerte di cibo in ottimo stato (ma prossimo alla scadenza e che altrimenti verrebbe gettato) provenienti da panifici, supermercati e ristoranti e il consumatore finale può recarsi sul punto vendita e acquistare i prodotti ad un prezzo estremamente vantaggioso. Il cibo si può comprare direttamente dall’applicazione. Con una doppia opzione: cercare le attività che aderiscono all'iniziativa, oppure individuare un piatto specifico.
Una soluzione simile, ma focalizzata esclusivamente nell’ambito della grande distribuzione (GDO), è proposta da Myfoody, una start up italiana che ha ideato delle “aree anti-spreco MyFoody” nei supermercati partner con la possibilità per gli utenti di visionare in real-time sulla app MyFoody le offerte geolocalizzate intorno a loro con uno sconto del 50% di prodotti prossimi alla scadenza che altrimenti verrebbero gettati. In pratica con la app scopri dove sono gli affari del cibo in scadenza negli scaffali del tuo supermercato di prossimità (U2 e Unicoop Tirreno tra gli aderenti)
Altro business model innovativo di food sharing è quello proposto da Regusto che si rivolge sia al consumatore finale, (modello sharing for money), che alle pubbliche amministrazioni e organizzazioni non profit (modello sharing for charity).
Nel primo caso l’app Regusto offre al consumatore proposte alimentari take away del settore hotel - ristoranti - caffè (Ho.Re.Ca.) selezionate a un prezzo scontato e introduce il concetto innovativo di “pricing dinamico”: prezzo variabile (esempio le lasagne dopo pranzo sono in eccedenza, il ristoratore tramite la app fa sapere che si possono comprare nel pomeriggio in super offerta perché preparati in eccedenza). La nuova app sarà disponibile da primavera a Perugia, Roma e Milano. All’app può essere associata la Regusto Bag, (realizzata in partnership con Minimo Impatto), un contenitore compostabile di design che funge da classica “family bag” e consente di portare a casa il cibo rimasto nel piatto al ristorante. Per quanto riguarda il non profit è prevista una formula innovativa che coinvolge i comuni (tra cui ad esempio quello di Narni), attraverso una piattaforma dedicata per digitalizzare il flusso di donazione e recupero delle eccedenze alimentari.
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