In un anno sono oltre 37 mila le neo-mamme lavoratrici che hanno presentato le dimissioni. La più ricorrente tra le motivazioni che spingono a lasciare è la difficoltà nel conciliare gli impegni lavorativi con la necessità di dover accudire i figli più piccoli, soprattutto se non ci sono nonni a disposizione e non ci si può permettere di pagare baby-sitter o nidi.
A monitorare il fenomeno è l'Ispettorato nazionale del Lavoro, che registra tutte le dimissioni volontarie, essendo impegnato nella verifica della loro "genuità". Attività finalizzata proprio a prevenire licenziamenti mascherati da scelte spontanee e a contrastare il cosiddetto fenomeno delle 'dimissioni in bianco', programmate al momento dell'assunzione per scattare quando insorgono determinati eventi personali, gravidanze in primis. Nei casi riportati c'è quindi il 'bollino' dell'Inl che ha convalidato il provvedimento in questione, sentendo i lavoratori, quelli con figli sotto i tre anni. La volontarietà della decisione, però, non sana la complicazione nel conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro. Un problema che ricade sulle donne.
Su più di 51 mila, tra dimissioni e risoluzioni consensuali complessivamente censite, il 73% delle volte a mollare l'impiego è la madre. La percentuale resta costante, ma in numeri assoluti si rileva addirittura un aumento rispetto all'anno precedente (+4,6% per le donne). L'interruzione coincide nel 66% dei casi già con l'arrivo del primo figlio. In 21 mila situazioni dietro le dimissioni ci sono quelle che l'Ispettorato certifica come "esigenze di cura della prole" che rendono cioè di fatto impossibile proseguire il rapporto di lavoro in essere.
Impossibilità che pagano le madri e che "vanno rimosse" spiega il direttore dell'Inl, Leonardo Alestra. A preoccupare l'Ispettorato è adesso lo "scenario 'post Covid', le cui incertezze e difficoltà potranno produrre anche l'effetto di amplificare ulteriormente le aree 'oscure' di elusione e di irregolarità in danno dei lavoratori, ed in particolare delle categorie più fragili e vulnerabili".
Tra i dati forniti dall'Ispettorato figura anche quello sulle convalide di part time accolte: solo il 21% delle richieste ha riscontrato un esito positivo, segno anche questo di un'ancora insufficiente sensibilità da parte dei datori di lavoro verso le esigenze di consentire di coniugare il ruolo di genitori con l'occupazione.
Le cifre e le percentuali sulle condizioni delle neo-mamme per la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, "confermano la necessità e l'urgenza di misure rivolte loro come quelle su cui il Governo è già concentrato". Le linee d'intervento prevedono "una seria azione di contrastato al part-time involontario, che penalizza principalmente le donne" e l'introduzione di "una legge sulla parità di genere nelle retribuzioni". Posto che, ricorda la ministra, "un primo passo avanti" è stato fatto con il Family Act.
La Cgil intanto incalza l'esecutivo chiedendo un incontro dopo "l'ennesima allarmante conferma della difficoltà di essere madri e lavoratrici e di quanto siano necessarie forme positive di flessibilità del lavoro". Sulla stessa linea la Cisl, per cui si tratta di situazioni "inaccettabili". La presidente della commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, Licia Ronzulli, teme che gli effetti della pandemia non possano che peggiorare il fenomeno. E così anche la capogruppo di Fi alla Camera, Maristella Gelmini. Per la sottosegretaria al Mef ed esponente di Leu, Maria Cecilia Guerra, il Recovery Plan deve destinare risorse a servizi che aiutino proprio le mamme lavoratrici. (ANSA).
Figli e occupazione, in un anno 37mila neo-mamme hanno lasciato il lavoro
In 7 casi su 10 lascia la donna. Catalfo, governo pronto ad agire