Il cinema fa sognare, emoziona, mette paura, ansia, fa palpitare, piangere, riflettere, ci fa vedere il meraviglioso. Quante volte abbiamo sentito queste definizioni, più o meno con enfasi da cerimonia, scegliendo ciascuno il tocco più affine.
Dunque Cannes con la contraddizione che ovunque stiamo vivendo tra voglia di uscire, socializzarsi, godersi l'estate, musica a tutto volume e fare festa (ce ne sono state tante, tutte private in jacht milionari o in ville esclusive) e mascherine, tamponi, paura del vicino chissà se avrà il Green Pass.
Quello che si intravede dai film d'autore è la società in cambiamento, un periodo di lacerante transizione tra epoche. La famiglia, che in tutte le latitudini è al centro, da molto tempo non è più l'istituzione di una volta, ma la rilevanza questa volta è il capovolgimento dei ruoli, di genitori adolescenti dentro, di padri inadeguati meno maturi dei loro figli, di padri che non reggono le aspettative dei figli su di loro, di figli che fanno da genitori, proprio l'opposto di quello che accadeva tempo fa. E di maschi decisamente in crisi di ruolo nella coppia con le donne molto spesso un passo avanti e a volte forti come rocce (come nel favorito alla Palma d'oro Lingui di Haroun, primo film dal Ciad). Succede in Flag Day con Sean Penn, nei Tre Piani di Nanni Moretti, in Red Rocket di Sean Baker, in France di Bruno Dumont, in Annette di Leos Carax, in Stillwater con Matt Damon per citare solo pochi titoli. I ragazzi, come ad esempio in Les Olympiades di Jacques Audiard, soffrono di grandi solitudini, di mancanza di prospettive e dietro l'ossessione per Instagram sono alla ricerca, come è dall'origine del mondo, di abbracci e di amore e non importa se i mezzi oggi sono le app di dating o la fluidità di genere: va' dove ti porta il cuore. La social mania impazza, la reputation è il nuovo valore assoluto e basta un passo falso per perdere follower e passare dagli altari alla gogna, quel tipo di successo lì, pure effimero è la nostra ambizione del decennio (ancora Audiard e Dumont, ma anche A Hero di Asghar Farhadi, altro film con rumors da Palmares), e se si trasforma in invasione di privacy fa parte del gioco.
Il fine vita, anche se tabù, è un tema d'attualità come è evidente dalle varie pellicole che lo hanno al centro. In una società che invecchia, con anziani attivi fino ad età impensabili come morire, come accettare di non essere più chi si era è davvero uno dei grandi quesiti, e il suicidio assistito (vedi Tout s'est bien passé di Ozon e De son vivant di Emmanuelle Bercot) è una risposta.
Le tensioni sociali, come in La Fracture di Catherine Corsini, sono tra noi e la pandemia come è noto le ha pure aumentate. Quello stesso film, ma non è il solo, riflette un altro pezzo della società cambiata le coppie omosessuali, specie lesbo, non fanno rumore (ancora Corsini) e si baciano sulla Montee come Jodie (Foster) e Alexandra. Mentre il genere è un concetto messo in discussione, come in Titane di Julia Ducournau, vincitore della Palma d'oro n. 74.
Il mondo da Cannes, padri inadeguati e social mania
Incubo Delta, il glam nascosto e tanta musica per dimenticare