‘Tecno-ottimisti’, che vedono il futuro sempre più virtuale e meno reale, in crisi di identità. Guardare il nostro passato e il presente per predire dove andremo grazie alla tecnologia è diventato difficile.
Il metaverso (termine fantascientifico ora alla ribalta da quando l’ha sposato Mark Zuckenberg per la gestione delle sue creature virtuali) le blockchain, le società digitali sostenibili DTC (direct to consumer) e l’arte volatile NFT (convertita in codici/token digitali di cui si parla tanto da quando nei primi mesi del 2021 un’opera ‘non fungibile’ dell’artista digitale Beeple - alias Mike Winkelmann- è stata venduta per 69 milioni di dollari), faranno davvero la differenza nel 2022? “No, seppure siano realmente occasioni neonate e dotate di potenziale non sono ancora all’altezza del posizionamento ‘ipocrita’ di chi le foraggia e della attuale capacità di impattare o migliorare il nostro mondo” precisano un pool di designer, tecnologi, direttori creativi di organizzazioni centrate sull'uomo, esperti e fondatori di incubatori per imprese tra i più innovativi, invitati a commentare e riflettere su questi ‘topics’ del 2022 sul magazine economico statunitense Fast Company.
Tutto sopravvalutato? Il tecno ottimismo migliorerà il mondo solo se resta con i piedi per terra e si adatta ai nostri bisogni reali. Avvalorano tali concreti dubbi, inoltre, due aspetti: gli orologi non riescono più a scandire il tempo che passa perché ha preso ad andare più veloce prendendo direzioni diverse repentinamente e le nuove generazioni, i nati con il tablet in culla e in cui sono riposte molte speranze sul fronte tecnologico non sono poi così tanto addicted. Il principio fino ad oggi indiscusso dell’efficienza, ossessione delle generazioni precedenti, pare stia venendo meno perché “i cambiamenti incalzano rapidamente, creando un sistema estremamente fragile che può facilmente crollare in tempi di grande stress, come adesso” , si legge nel focus.
Metaverso e realta’ aumentata
Si intravede una ‘minacciosa arroganza’ nell'idea che il metaverso (termine fantascientifico preso in prestito per definire attività virtuali che si realizzano in internet) possa dominare le nostre esperienze. Spiegano il concetto Mark Rolston e Jared Ficklin, creativi tecnologici della società di consulenza in product design e ncubatore di idee di processi hitech Argodesign, con sede ad Austin in Texas: “La nuova versione Facebook dell'hype di Metaverso si basa su una premessa egoistica secondo cui le persone sceglieranno di fuggire dal "mondo reale" per interagire in uno sintetico (e, naturalmente, sponsorizzato). Ma questo concetto ignora ciò che l'informatica ha già fatto per noi, cioè aggiungere vantaggi al nostro ambiente reale. Vogliamo cioè che i computer funzionino nel nostro mondo, dove si svolge la nostra vita, come a tavola, in treno o passeggiare con gli amici”. Insomma intorno alla realtà aumentata c’è molto clamore ma sarà la realtà ‘mista’ che rende la tecnologia al nostro servizio, ad attrarci “qualunque sia l'interfaccia, il futuro dell'informatica non è sfuggito di mano”.
La Generazione Z vuole l’autenticità
Fare previsioni sui gusti della Generazione Z è sbagliato. Almeno per quanto riguarda i sistemi per attirare la loro attenzione sui social e online. Sono ragazzi fluidi, hanno una capacità di attenzione di 8, massimo 12 secondi. Ricercano fluidità attraverso il genere e altre norme, perciò è inutile fare indagini per individuare aspetti che li attraggano. Società, marchi e messaggi online creati ad arte per convincerli sfruttando alcuni principi che hanno funzionato fino ad oggi non funzioneranno più. Quale è il problema? “E’ una generazione che non vuole essere inchiodata. L'individualità e la loro spiccata autosufficienza richiede un livello completamente nuovo di flessibilità. Sono sempre in movimento e la maggior parte dei marchi inevitabilmente rimarrà sempre indietro di diversi passi rispetto a loro. Come sempre, è meglio che i brand siano semplicemente se stessi, che lascino sventolare le proprie bandiere in modo autentico e audace” precisa Kevin Grady, partner senior del global creative consultancy Lippincott.
Arte Nft
Nel 2021 un’opera NFT dell’artista digitale Beeple (alias Mike Winkelmann) è stata venduta per 69 milioni di dollari. Da allora, gli NFT (non fungible token, un tipo speciale di token crittografico che rappresenta l'atto di proprietà ed il certificato di autenticità scritto su Blockchain di un bene unico (digitale o fisico)) hanno avuto un boom nel volume di scambi, generando oltre 10 miliardi di dollari nel terzo trimestre e una grande quantità di brand e personaggi in lizza per una fetta di clamore nel neo-mondo dell’arte Nft. Dire però che il 2022 vedrà la diffusione di questo tipo di ‘valore virtuale’ è sbagliato perché il 45% degli adulti statunitensi che usano internet non ha mai sentito parlare di NFT e il 28% non li capisce. L’identikit di chi è invece interessato? Per lo più una nicchia di collezionisti cripto-adepti, spesso personaggi noti e di sesso maschile. Sono perciò in una fase sperimentale e nascente. Ci vorranno perciò ancora diversi anni e finché ci saranno ‘acrobazie’ di valore del genere la domanda non aumenterà.
La falsa ‘sostenibilità’ dei brand online
Siamo ecologisti, preoccupati per l’ambiente ma poco consapevoli “Ordiniamo sapone biologico, avvolto nella plastica. Spediamo pacchi pieni di imballi inquinanti che finiscono nella spazzatura, ci abboniamo a uno spazzolino da denti che promette ricariche intelligenti con batterie e accessori di plastica. Miliardi di scatole, involucri, nastri, etichette, adesivi, polistirolo, pluriball, ogni giorno. È ora di fermarsi a pensare prima di essere attratti dal prossimo click per riempire il carrello virtuale e l'analisi del ciclo di vita dei prodotti dovrebbe essere obbligatoria e trasparente. Il futuro per le aziende va verso lo studio, la creazione di prodotti con meno imballi e pezzi e di riduzione delle distanze delle spedizioni (cosa che peraltro abbatterebbe anche i costi o perlomeno frenerebbe gli aumenti, come il 9% annunciato recentemente da Ikea proprio per il costo dei trasporti). Gli oggetti dovrebbero essere riparabili, riutilizzabili e rigenerati. Le aziende, spiega nel report Nichole Rouillac, direttore creativo della newyorkese Level. - devono essere responsabili nel realizzare prodotti non solo per marketing, per alzare la bandiera di paladini della sostenibilità ma anche della reale sostenibilità ambientale di quel prodotto".
Il lavoro ibrido non basta
Si parla tanto dei pregi del lavoro da remoto, stiamo apprezzando molto la formula del lavoro ibrido, cresciuti in modo esponenziale a causa del lockdown e della situazione di pandemia, ma non sarà la chiave di volta del 2022 per migliorare le imprese e il benessere dei lavoratori. Il futuro del lavoro è risolvere i traumi che lo rendono tossico. Esperienze negative, paure, dubbi, danni fisici, differenze di stipendio, ingiustizie, mancanza di inclusività impattano gli ambienti di lavoro, inclusi quelli virtuali, rendono la vita e il rendimento dei lavoratori molto difficili. “Affinché il lavoro remoto e ibrido migliorino, le imprese devono capire che il trauma non è solo un problema individuale, è un problema organizzativo. E’ tempo di darci il permesso di dare priorità ai bisogni del capitale umano, - precisa Vivianne Castillo, fondatrice e consulente per la cultura equa e l'innovazione, di HmntyCntrd, (Humanity Centered) con sede a Chicago, una premiata community di 450 professionisti in 22 paesi che in ogni lavoro, consulenza, attività mette al centro l'uomo.
Metaverso ed altri scenari 2022, pro e contro il tecno ottimismo
Fast Company, migliorerà il mondo solo se resta con i piedi per terra e si adatta ai nostri bisogni reali