"Scusa se ti disturbo’; ‘niente’; ‘ho una piccola richiesta da farti’; “potrebbe essere una idea inutile ma vorrei chiederti se..
Sottovalutarsi è un vizio comune tanto che i manuali di ‘self-help’ sull’argomento sono in cima alle classifiche mondiali ed italiane dei best-seller sulle piattaforme di e-commerce più battute al mondo. Se adesso ‘Atomic habits. Tiny changes, remarkable results’ dello scrittore James Clear è il numero 1 dei best-seller in lingua inglese su Amazon (in Italia è edito da DeAgostini col titolo ‘Piccole abitudini per grandi cambiamenti’ ed è nei primi 10 best-seller nella sezione dei libri di auto-aiuto), da noi è tra i primi dieci best seller generici il nuovo ‘Spegni sto c***o di cervello’ della psicoterapeuta Faith Harper (ed.Pienogiorno).
Elenca le parole più usate inconsapevolmente (da adulti sul lavoro o da ragazzi a scuola per esempio) e che feriscono la propria autostima Jenny Messerle, autrice di ‘I am a golden Buddha. A journey from self criticism to inner peace’ , manuale su come trasformare la propria vita di autocritica in una vita di auto-apprezzamento e pace interiore. Si va da “Ho una domanda stupida” a “ho una piccola richiesta” a “questa potrebbe essere una domanda/idea sciocca”. Seguono “ho bisogno di un po’ del tuo tempo”; “ho preso solo un (voto medio) all’esame/test/interrogazione” ; “non sono bravo in matematica”. “Un decennio fa, ho notato che stavo danneggiando l’immagine di me stessa dal modo in cui usavo e interpretavo parola specifiche, – spiega Messerle su BetterHumans, piattaforma di coaching delle abitudini. - Per costruire la mia autostima, ho creato un piano per prendere coscienza e sostituire le frasi che mi sminuivano. Quando ho cambiato il modo in cui parlavo e pensavo, la mia autostima è migliorata”.
Spiega perché le parole sminuenti verso se stessi fanno male sia nella vita reale che nel mondo dei social Bruno Mastroianni, filosofo, esperto di comunicazione digital e social media strategist :“il tema centrale è la gentilezza, intesa come quella modalità che seguiamo per avviare un dialogo con gli altri e che equivale a fare un po' di spazio all'altro, tenerlo presente. Il problema è che la gentilezza in eccesso diventa servilismo. Queste parole rivelano che per fare spazio all'altro in realtà io sto rinunciando a uno spazio mio, quasi come se perdessi un po' di rispetto di me stesso e anche di fiducia in me stesso, per esempio verso la mia posizione, verso quello che sto chiedendo o nell'idea che sto esprimendo. Quindi l’eccesso di gentilezza porta al self-minimizing, a sminuire se stessi”.
"Attenzione però, l’altra faccia della medaglia dell’auto sabotaggio potrebbe svelare anche aggressività, ovvero l’esatto opposto che induce ad invadere lo spazio altrui perciò mi esalto, domino e minimizzo l’altro, - precisa Mastroianni. - Entrambi i meccanismi sono legati e ciò si vede soprattutto online. Spesso l’aggressività nelle parole digitali sia tra estranei che tra colleghi con frasi più o meno dure sul lavoro, su opinioni, idee o gusti degli altri rivelano anch’esse una abitudine al self-minimizing perché si tratta spesso di persone che si sminuiscono e non hanno fiducia in sé stessi. Può accadere che queste stesse persone, quando devono esprimere qualcosa tendano ad essere più aggressive come se non avessero la misura dell’esatta posizione che hanno nella relazione con l’altro, posizione che garantirebbe delle parole né sminuenti di se stessi né dell’altro, che non fanno dominare uno sull’altro ma spiegano idee e parole. Usare le parole ‘sminuenti’ ha un effetto reale su di noi e sugli altri. Conclude Mastroianni: “Non sono solo parole ma atti che ci danno forma, cioè se uno continua ad usarle per svalutarsi, anche in modo all’apparenza inconsapevole, tenderà ad avere un reale effetto sottovalutante su sé stesso, così come gli altri che ascoltano tenderanno a percepire questo sminuirsi. Non sono solo parole che passano, restano e lasciano traccia. E’ molto importante come si parla di sé e riflettere sulle parole che rivelano cosa pensiamo di noi stessi per lavorarci su e per costruire un ‘se stesso’ più fiducioso”.
E’ Jenny Messerle a dare suggerimenti pratici per affrontare la parola emblema del problema del self-minimizing, la più abusata al mondo, ovvero ‘niente’ con cui si riduce il senso del valore (“non era niente di speciale”), si proclama la propria arresa (“oggi non ho fatto niente”), si sottolinea la propria incapacità (“non funziona niente”) e così via. L’esperta dà due strade per superarla: la prima è di fare caso alle volte che si usa il temine ‘niente’ e notare quando la usano gli altri. Ogni volta va segnalata sul proprio smartphone o scritta su una nota. La lista diventerà lunga in poco tempo. La seconda strategia invece invita a trasformare quella mancanza sintetizzata in ‘niente’ in qualcosa che c’è, che esiste ed è sostanza: ‘niente di speciale’ diventa ‘qualcosa di speciale’ che l’esperta suggerisce di dichiarare con entusiasmo. “Anche quando riceviamo un complimento per un lavoro ben fatto o un favore, per esempio, non rispondiamo con ‘di niente’ ma con ‘grazie’, ’mi ha fatto piacere/è stato qualcosa di speciale anche per me. Semplici parole che nutrono l’autostima e danno agli altri un messaggio di vicinanza e di capacità” conclude Messerle.