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Verso il 25 novembre, il cambiamento sociale sulla violenza alle donne serve ora

Veltri (D.i.Re), è responsabilità delle istituzioni sostenere i centri antiviolenza

Redazione Ansa

Si avvicina il 25 novembre e gli eventi intorno alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile alle donne si moltiplicano. Nonostante questa grande attenzione, però, il cambiamento culturale necessario per il vero contrasto di questo fenomeno così radicato nella società è ancora molto lontano. "E' davvero arrivato il momento di fare una rivoluzione culturale, e di smontare definitivamente gli stereotipi di genere e la cultura dello stupro", ha scritto Michela Marzano sul Corriere della Sera. "Vogliamo e chiediamo che la strategia delle tre “p” — punire, proteggere, prevenire — della Convenzione di Istanbul, che il nostro Paese ha ratificato nel 2013, non sia più lettera morta, e che si insegni, con le parole (scritte e orali) e con l’esempio, che l’amore, con la gelosia e il possesso, non c’entra nulla, e che nessuna persona ci appartiene, nessuno ci ripara, nessuno ci colma. Dietro la piaga endemica delle violenze di genere c’è sempre l’idea che una donna appartenga a un uomo, l’illusione che sia lei la responsabile dei fallimenti di un maschio, la mancanza di pietà e di empatia, il narcisismo, il patriarcato, la gelosia, il possesso".

 



Dice Antonella Veltri, presidente D.i.Re Donne in Rete contro la violenza "Stiamo piangendo Giulia Cecchettin, siamo di fronte al numero di femminicidi costante negli anni e troppe donne vivono quotidianamente situazioni di violenza: e siamo ancora immerse in una cultura patriarcale che fa giudicare le donne vittime di violenza anziché gli uomini che la agiscono. Con pericolosi attacchi a diritti che pensavamo acquisiti - come quelli alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza - le donne vedono messa a rischio la libertà di gestire autonomamente il proprio corpo. Ci troviamo - ancora nel 2023 - a parlare di violenza economica e di gap salariale: quando una donna lavora, libera professionista o dipendente, ha un guadagno nettamente inferiore rispetto a un collega maschio, anche per lavori molto qualificati (secondo Istat, le prime hanno una retribuzione oraria media di 15,2 euro, mentre i secondi di 16,2, con un divario più alto tra i dirigenti e i laureati). Bisogna superare la visione secondo la quale le lavoratrici possono avere uno stipendio minore perché c’è l’uomo che compensa. Anche questo, infatti, è sintomo di una società in cui la sottomissione e il controllo finanziario all’interno della coppia sono quasi normalizzati. Così come sono normalizzati il controllo dell’uomo sulla vita della donna in molti ambiti della società. Il cambiamento serve ora ed è responsabilità di tutti - sottolinea Veltri al Corriere della Sera - agirlo quotidianamente, ognuno e ognuna nel contesto che abita".
È invece responsabilità delle istituzioni sostenere i Centri antiviolenza, molto spesso in difficoltà economiche. "La nostra Rete - conclude Veltri - ne raggruppa 110 che ogni anno accolgono oltre 20.000 donne per accompagnarle nei loro percorsi verso la libertà. I nostri Centri antiviolenza non obbligano le donne a progetti preconfezionati, ma le affiancano perché ritrovino la loro forza e si autodeterminino attraverso un rinnovato potere di scelta che la violenza aveva annullato. È importante che le donne che vivono situazioni di violenza e maltrattamento lo sappiano".

La nuova opera di Laika è in Messico nel luogo simbolo dei femminicidi

 

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