Nascosti alla vista, camuffati per dimenticare, segno indelebile di un passato da sopravvissuti: sono i tatuaggi con i numeri della deportazione nei campi di sterminio. Mentre rimangono in vita sempre meno superstiti e celebriamo il Giorno della Memoria di quel 27 gennaio 1945, data simbolo dell'apertura dei cancelli di Auschwitz in una fase storica di rigurgito di antisemitismo per la guerra in Medio Oriente tra Hamas e Israele (dopo l'attacco terroristico ai kibbutz del 7 ottobre 2023 e la risposta feroce di Tel Aviv che ha fatto migliaia di morti in Palestina tra la popolazione civile), cerchiamo sempre nuovi altri modi per non dimenticare ciò che è successo.
Nella tradizione ebraica, il tatuaggio è in gran parte un tabù. Per molti, un segno inciso e inchiostrato sul corpo è tanto incompatibile con la legge levitica quanto inconciliabile con la memoria dell'Olocausto in cui morirono solo ad Auschwitz un milione di ebrei. Ma anche una eredità indelebile: per questo un numero per ora piccolo ma crescente di discendenti, figli e nipoti, sta scegliendo di replicare sul proprio corpo i numeri di serie che i nazisti hanno tatuato con la forza sugli avambracci dei loro parenti. E' un modo per definire la loro stessa identità.
La sociologa Alice Bloch, dell'Università di Manchester ha fatto una ricerca lunga cinque anni, cercando di capire la potenza di questo gesto, la potenza, come dice il figlio di un sopravvissuto di Auschwitz, di "camminare con il numero", diventare con i loro tatuaggi memoriali viventi.
L’impatto che l’Olocausto ha avuto sulle famiglie colpite è devastante e va in profondità nelle generazioni : tra i sopravvissuti c'è chi non ne ha parlato per decenni (come la stessa senatrice Liliana Segre) e chi si è sentito di essere da subito testimone. Nella ricerca della Bloch, rilanciata da The Conversation, alcuni figli e soprattutto nipoti di sopravvissuti raccontano perchè hanno replicato il tatuaggio del campo di sterminio sul proprio corpo. "Alcuni hanno aspettato fino alla morte del genitore o del nonno sopravvissuto. Alcuni si sono fatti il tatuaggio senza chiedere approvazione. Altri ne hanno discusso in anticipo con i loro parenti" dice la sociologa. Alcuni hanno scelto di replicare esattamente l'aspetto dell'originale e il luogo in cui è stato posizionato. Altri hanno scelto di alterare i disegni nei dettagli e nei colori, o di posizionarli su una parte diversa del corpo. "Ogni decisione crea il significato del nuovo tatuaggio", sottolinea.
Il tatuaggio del numero di Auschwitz, si legge nella ricerca della sociologa di Manchester, non è sempre stato venerato. Dopo la seconda guerra mondiale i sopravvissuti furono spesso stigmatizzati. Le commemorazioni pubbliche celebravano la resistenza e le rivolte. Le vittime e i sopravvissuti, al contrario, venivano descritti come deboli . Quella iniziale stigmatizzazione avrebbe seguito alcuni sopravvissuti per tutta la vita, anche quando la percezione pubblica iniziò a cambiare. Ad alcuni è stato rimosso il numero. Altri lo coprivano con maniche lunghe. Per alcuni discendenti, è stata la visita in Polonia che ha fatto nascere l’idea di replicare il numero di Auschwitz sul proprio corpo. La scelta è diventata simbolo di amore ed eredità, di commemorazione e orgoglio.
"Il numero è mia nonna. È il mio passato, le mie radici, la mia storia. E' quello che sono" dice Rony Cohen che si sentiva come se avesse vissuto l'Olocausto in prima persona ma in un ciclo diverso della sua vita. Permeava la vita familiare, così come il divieto autoimposto di parlare del passato e dell'assenza di parenti. Ma il cibo era un indicatore della sofferenza, veniva usato per calmarsi, a casa non c'erano rifiuti, sua nonna finiva ogni briciola di ogni piatto. "Ogni volta che qualcuno vede il mio tatuaggio, sa che questo è Auschwitz. Voglio che sia notato e comprensibile. Nessuno dovrebbe dubitare di cosa si tratti".
Racconta Alice Bloch: "nell'estate del 2022 ho incontrato Orly Weintraub Gilad. Aveva scelto di farsi tatuare il numero di suo nonno materno Samuel Kestenbaum sul braccio, ma era anche per sua nonna materna, Agi Kestenbaum. Anche lei era stata ad Auschwitz, ma non era stata tatuata perché non si prevedeva che vivesse. Le storie sull'Olocausto facevano parte della sua vita fin dall'infanzia. E' legatissima a nonna Agi che ha 95 anni. Il tatuaggio le dà la possibilità di parlare dell'Olocausto, "mia nonna è felice di questo. Sa che dopo che se ne sarà andata, parlerò".
Poi c'è la storia di Yair Ron (Reisz). È cresciuto in Israele, in un kibbutz fondato da sopravvissuti all'Olocausto. "Era una comunità molto piccola di persone con la stessa idea di comunismo", ha ricordato incontrando la sociologa. "Sono tutti sopravvissuti all'Olocausto, quindi hanno tutti un numero.". Come molti figli di sopravvissuti all'Olocausto, Ron e sua sorella sapevano di non dover chiedere. "Era impossibile avere una conversazione sull'Olocausto con mio padre. Avevamo paura di chiedere e paura di sentire. Forse non volevamo sentire. E ci ha detto che non voleva dirlo, quindi non potevamo scambiarci alcuna informazione sull'Olocausto. Ci sembrava molto naturale che gli adulti avessero dei numeri quindi non prestavamo molta attenzione a questo. Non conoscevamo altri adulti o persone senza numero. Il kibbutz era lontano, sulla montagna, molto isolato", ma una volta uscito dal kibbutz ha notato che le altre persone non avevano nessun numero così gli venne l'idea del tatuaggio ma suo padre era contrario e solo alla sua morte ha potuto farlo.
I sopravvissuti muoiono, presto non ci saranno più persone contate. Questo, per Yair Ron, rende il numero una cosa importante da conservare, uno strumento per mantenere viva la memoria.
Bisogna sapere che Auschwitz , nella Polonia occupata dai nazisti, era l'unico campo in cui venivano tatuati numeri sui detenuti non selezionati per la morte immediata. Sostituendo il nome della persona, questo numero è diventato il simbolo visivo dei crimini dei nazisti. E più di 400mila prigionieri furono tatuati a forza e con dolorea partire dall'ottobre 1941, prima i numeri di identificazione venivano cuciti sulle uniformi carcerarie.
I prigionieri rom e sinti avevano la lettera Z aggiunta al loro numero, la prima lettera della parola tedesca (peggiorativa) Zigeuner , usata all'epoca per queste comunità. Con l'arrivo di ebrei ungheresi in numero crescente, nel maggio 1944 furono introdotte nuove sequenze di cifre. Queste iniziavano con il numero 1 e erano precedute prima dalla lettera A; poi, quando ce ne fu bisogno di più, B.
Nel suo libro autobiografico del 2001, Still Alive: A Holocaust Girlhood Remembered , la studiosa di studi tedeschi e sopravvissuta all'Olocausto Ruth Klüger descrive l'esperienza di farsi tatuare con la forza ad Auschwitz.
Ne parla anche Primo Levi nel suo immenso libro del 1986, I sommersi e i salvati: "Il suo significato simbolico era chiaro a tutti: questo è un segno indelebile, non te ne andrai mai da qui; questo è il marchio con cui vengono marchiati gli schiavi e il bestiame mandato al macello, e questo è ciò che siete diventati. Non hai più un nome; questo è il tuo nuovo nome".
Musei e memoriali in tutto il mondo sono dedicati a raccontare la storia dell'Olocausto. Dal 2006, ogni anno, il 27 gennaio, si celebra la Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto. Ma nonostante la proliferazione dell’arte e della cultura legate all’Olocausto, nonostante i libri che espongono i fatti, la ricerca mostra che molte persone ignorano ciò che è accaduto . Nel 2021, l’ indagine globale sulla consapevolezza dell’Olocausto ha rilevato grandi lacune nella conoscenza delle persone. Nel Regno Unito, il 52% degli intervistati non ha saputo specificare che sei milioni di ebrei sono stati assassinati, una cifra che sale al 56% in Austria e al 57% in Francia. Tra gli adulti intervistati negli Stati Uniti e in Canada, rispettivamente il 45% e il 49% non sapevano nominare un campo di concentramento o un ghetto. Tra i millennial negli Stati Uniti, solo il 49% saprebbe nominare un campo di concentramento o un ghetto.
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