"La storia dell'architettura non è sbagliata, è incompleta" dice Lesley Lokko, curatrice anglo-ghanese di "The Laboratory of the Future", la 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia che centra l'attenzione su una realtà "esclusa", il continente africano.
Nell'architettura, per la curatrice, "la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità - dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale - come se si parlasse in un'unica lingua". Un ruolo importante per un "cambiamento", per l'inclusione di voci finora rimaste silenziose è rivestito dalle mostre, come quelle della Biennale.
"Costituiscono un'occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono". "La curatrice - sottolinea Roberto Cicutto, presidente della Biennale - parte dal suo continente di origine, l'Africa, per raccontarne tutte le criticità storiche, economiche, climatiche e politiche e per dire a tutti 'a noi è già successo molto di quanto sta accadendo al resto del mondo. Confrontiamoci per capire dove si è sbagliato e come va affrontato il mondo'. E' un punto di partenza che invoca l'ascolto di fasce di umanità lasciate fuori dal dibattito, e apre a una molteplicità di lingue zittite per molto tempo da quella che si considerava dominante di diritto in un confronto vitale e improcrastinabile". E' una mostra in cui i progetti e le idee presentate vedono un equilibrio di genere e dove l'età media dei partecipanti è di 43 anni, che scende a 37 nei Progetti speciali della curatrice centrati su temi come il cibo, i cambiamenti climatici, la geografia, il genere, "Ospiti dal Futuro". Il 46% degli invitati poi considera la formazione " come una vera e propria attività professionale" e il 70% delle opere esposte è stato progettato da studi prestiti da un singolo o da un team molto ristretto.
"Al cuore di ogni progetto - dice Lesley Lokko - c'è lo strumento principe e decisivo: l'immaginazione. E' impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina". Tutti i partecipanti sono stati espressamente qualificati con il termine "practitioners" perché "le condizioni dense e complesse dell'Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine 'architetto'". L'esposizione prende avvio dal Padiglione Centrale dove sono riuniti 16 studi che rappresentano "un distillato di force majeure (forza maggiore) della produzione architettonica africana e disporica", per poi svilupparsi all'Arsenale e a Forte Marghera con le altre sezioni.
Le partecipazioni nazionali sono 63, con il Niger per la prima volta e il ritorno della Santa Sede. Non ci sarà il padiglione russo, come è avvenuto nel 2022 per la mostra d'arte, mentre Cicutto ha espresso totale disponibilità a ospitare quello ucraino, al momento assente. Il Padiglione Italia, curato dal Collettivo Fosbury Architecture (Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Capri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi), presenterà la mostra "Spaziale: Ognuno appartiene a tutti gli altri". Ci saranno anche tre partecipazioni speciali: il regista Amos Gitai, il poeta-architetto Rhael 'LionHeart' Cape Hon Friba e il fotografo James Morris. I vari temi affrontati dall'esposizione saranno al centro di un ciclo di incontri sotto il titolo "Carnival". "Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale" è il titolo del Progetto Speciale che vede assieme la Biennale e il Victoria and Albert Museum di Londra. Per la prima volta, poi, ci sarà la Biennale College Architettura, dal 25 giugno al 22 luglio, con 50 partecipanti, mentre prosegue anche con questa esposizione il percorso della Biennale per il raggiungimento della neutralità carbonica.
(ANSA).
Biennale Architettura per la prima volta riflettori sull'Africa
Dal 20 maggio a Venezia un laboratorio di futuro