Il racconto di una donna anticonvenzionale che, nata nel tardo Ottocento, già brilla per talento, spirito libero e personalità. Il suo credo è essere anticonformista, non adeguarsi alle opinioni comuni, aggirare la norma, pensare fuori dagli schemi, ribellarsi al pensiero dominante e al sistema preesistente.
C'è una cifra visiva pop e immaginifica, sottolinea Rovere, capace di rendere Torino e le storie "non polverose ma accattivanti per un gusto contemporaneo".
Visivamente la serie su Lidia Poet (in attesa dell'annuncio ufficiale della seconda stagione) è molto vicina a Bridgerton per colori, ricostruzione, stile di ripresa con le visioni dall'alto. La cifra stilistica è moderna, libera e fantasiosa, attenta ai personaggi e alle loro pulsioni, più filologica è invece la ricostruzione della scena giudiziaria di fine Ottocento. "Torino è stata l’arena perfetta, forse l'unica possibile per arrivare alla cura che auspicavamo. La qualità del progetto sta tutta in quell’equilibrio tra l’ispirazione realistica dell’ambientazione e del contesto storico e lo stile visivivo di oggi", aggiunge Rovere che ha usato con Lamartire, camera a mano, steady a volte molto complessa o integrata con i dolly, techno crane nelle scene non solo action, senza però perdere mai il cuore e il fuoco sui nostri protagonisti.
Lidia Poët è stata la prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l'iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Torino nel 1883. Iscrizione prima accettata e poi annullata da una sentenza della corte d’appello. Motivazione? Era una donna. Per più di trent’anni non ha potuto esercitare l’avvocatura alla luce del sole perché le regole del tempo non lo permettevano. Ancora oggi la sua figura non è studiata all'Università e la serie di Groenlandia ne è un parziale risarcimento.
"La serie che abbiamo scritto però non è la storia della sua vita, tutt’altro. Si potrebbe definire un procedural classico, con i suoi casi di puntata, gli omicidi, le indagini e i colpi di scena finali. Ma al di là dei singoli casi, al di là del mondo di fine Ottocento che ci siamo divertiti a ricostruire, al di là perfino dei guizzi e dei vezzi della nostra protagonista, l’essenziale per noi è il suo spirito: volendo usare una sola parola, la più giusta per definirlo ci sembra “anticonformismo".
L'ambientazione
Il presupposto di partenza è stato quello di provare a togliere la polvere dai posti, dalle superfici, dai colori, per sottolineare le note di modernità presenti nel personaggio di Lidia e nel periodo storico in cui vive: l’arrivo della luce elettrica, del telefono, della stampa ed altri elementi hanno reso, infatti, la fine del 1800 un’epoca di grandi cambiamenti. Con l’arredatore, Giorgio Pizzuti - dice Luisa Iemma, Production Designer della serie - abbiamo cercato di assecondare questa modernità, inserendo colori e materiali inusuali per l’epoca. Abbiamo giocato, ad esempio, con le carte da parati fatte ristampare con disegni originali ma accostate a pura invenzione. Lo abbiamo fatto diventare un po’ “pop”. Partendo dai sopralluoghi, abbiamo riscontrato che trovare delle location adeguate alla storia non sarebbe stato facile, soprattutto nelle scene esterne dove la modernità delle città ci ha reso il lavoro molto difficile. Abbiamo coperto chilometri di strisce pedonali e parcheggi, rifatto infissi, trovato soluzioni creative per vetrine, citofoni, centraline elettriche, scivoli e ringhiere e tanti, tanti metri cubi di terra per coprire altrettanti metri quadrati di asfalto. In questo percorso i VFX ci hanno dato una gran mano! Per quanto riguarda gli interni in location, Torino è una città che ci ha offerto grandi possibilità, palazzi il cui grado di conservazione dell’originale ci ha consentito di intervenire unicamente con l’arredamento per trasformare luoghi “museali” o semi-abbandonati in ambienti vivi. Abbiamo utilizzato chilometri di tende, riempito e svuotato camion di mobili, trasportato centinaia di scatoloni pieni di oggetti, libri, tappeti, tessuti, biancheria, e tutto quello che serve a far vivere un posto. Per la natura del progetto, per mia stessa natura e per necessità, visto il gran numero di ambienti, mi sono presa la libertà di proporre spazi non filologicamente corretti per ambientare alcune scene. Non è sempre stato facile far vedere agli altri quello che vedevo io, ma Matteo e Letizia sono stati sempre aperti ed entusiasti nell’accettare cose che in potenza potevano sembrare follie. Ho trasformato il coro ligneo di una chiesa nella in una sala settoria, la galleria dismessa di un mercato coperto in una fumeria d’oppio, una cartaria in una stazione, una farmacia in un negozio di tessuti e tante altre cose che sembrano quello che nella realtà non sono. Per quanto riguarda la parte pratica, abbiamo disegnato e costruito muri e stanze segrete, cercato mobili in tutta Italia, costruito la prima macchina della verità su disegno di quella originale, usato una calligrafa per i manoscritti dei nostri protagonisti. E ancora, abbiamo montato il muro esterno di Casa Poët nell’unico giorno in cui ha nevicato a Torino, smontato e rimontato una location tre volte, scoperto, grazie a chi ci ha noleggiato le macchine da scrivere, che le prime avevano il rullo nascosto quindi non si vedeva quello che si scriveva fino a quando non si estraeva il foglio, che portare delle vasche da bagno in ceramica originali dell’epoca al terzo piano di un palazzo è impresa improba a causa del loro peso esorbitante, che i tram erano su rotaia ma tirati dai cavalli, e che Torino, oltre ad avere avuto la prima donna avvocato in Italia, è stata la prima città in Europa ad avere l’illuminazione elettrica pubblica! A tale proposito abbiamo molto discusso con il direttore della fotografia su che tipo di illuminazione usare: le candele, sicuramente, ma visto il periodo di transizione abbiamo iniziato ad introdurre le lampade a petrolio fino ad arrivare alle lampadine.
I costumi
L’ispirazione principale per la costruzione dell’armadio di Lidia Pöet sono stati soprattutto i tessuti dalla storica Tessitura Luigi Bevilacqua a Venezia, un posto ricco di fascino dove ancora i velluti vengono tessuti a mano con dei telai del XVIII secolo. L’amore per i dettagli filologici - dice Stefano Ciammitti, Costume Designer - mi è stato insegnato dal mio maestro Piero Tosi, l’audacia nell’uso del colore e delle fantasie barocche sono invece ispirate alla scuola inglese contemporanea. Anche i gioielli sono stati disegnati per Lidia nel gusto orientale per gli insetti e della tassidermia.
Curiosi sulle location? Ecco i luogi del set
La serie è stata girata, nella sua interezza, nella città di Torino. Le molte scene realizzate all’interno del tribunale del capoluogo piemontese sono state girate presso l’Ex Curia Maxima di Via Corte d’Appello, location di norma inaccessibile e resa disponibile esclusivamente per le riprese. Per alcune aule del tribunale è inoltre stato utilizzato Palazzo Falletti Barolo, insieme al Palazzo dei Cavalieri, trasformato nella redazione della Gazzetta Piemontese. Numerosi ciak hanno coinvolto anche il Museo del Carcere Le Nuove, oltre a varie piazze e strade del centro che durante le riprese hanno fatto da sfondo a carrozze, cavalli, costumi d’epoca: la centralissima e iconica Piazza Cavour, ad esempio, dove sono state girate le scene in esterna di Villa Barberis, casa di famiglia di Lidia Poet i cui interni sono invece stati ricostruiti per varie settimane di riprese a Racconigi, presso Villa San Lorenzo. L’ex lanificio Bona, nel comune di Carignano, è stato trasformato in una fabbrica di cioccolato, mentre il Teatro Alfieri di Asti ha ospitato le riprese di varie scene trasformandosi, per esigenze narrative, nel Teatro Regio di Torino. Sono state inoltre coinvolti il Castello e la Certosa di Collegno, il Museo Ferroviario Piemontese di Savigliano, la Basilica di Superga e diversi scorci di Borgo Cornalese a Villastellone.