Chissà se, oggi, davanti a opere battute a cifre astronomiche, la grande mecenate e collezionista statunitense Peggy Guggenheim lo avrebbe detto ancora: "Fontana è a mio avviso terribilmente noioso, con tutti quei buchetti".
Così, prima di ricredersi, aveva liquidato Lucio Fontana, il rivoluzionario dello spazialismo del secondo Novecento, l'artista dei buchi e dei tagli.
Voci di ieri e di oggi che si intersecano con quelle dello stesso Fontana, tratte dalle Teche Rai, nel documentario prodotto da Rai Cultura e scritto da Valeria Schiavoni con la regia di Barbara Pozzoni, Lucio Fontana, in onda mercoledì 3 aprile alle 21.15 su Rai5 per Art Night, con Neri Marcorè. Un documentario che si propone di raccontare per la prima volta in maniera completa la ricerca dell'artista, le sue sperimentazioni e la Milano che custodisce molte delle sue opere. Sculture in particolare, perché - sono parole di Fontana - "io ho sempre creduto a queste mie ricerche con una fede straordinaria, e per fortuna le ho potute portare a termine perché avevo questo mestiere, lo scultore, che mi ha fatto guadagnare e mi dato la facilità di dedicarmi, con una passione vera, a queste nuove ricerche".
Così - nel 1947, dopo sette anni in Argentina - nasce il suo Spazialismo che 'sfonda' la tela. "Con il Concetto Spaziale - spiega Luca Massimo Barbero, consulente scientifico della Fondazione Lucio Fontana - l'opera non diventa più un oggetto, ma il corpo di un'idea, un concetto. Lo spazialismo è un movimento pieno di giovani, liberissimo, tutt'altro che ortodosso, che cambierà la storia dell'arte del dopoguerra".
Anche perché, da lì in poi, non ci sono materiali che Lucio Fontana non sperimenti: la ceramica, il bronzo, il mosaico e vernici diverse. Capita persino con la tv delle prime sperimentazioni, nel 1952, in cui 'gioca' con la luce. E la motivazione la dà lui stesso: "Ho capito che l'artista domina la materia, e quando la materia è capita dall'artista diventa una materia nobile. Ad esempio, col marmo Michelangelo ha fatto dei capolavori e poi si fanno gli scalini, col bronzo si fanno delle opere d'arte stupende e poi si fanno le maniglie".
Una concezione dell'arte e dell'essere artista che gli fa serenamente ignorare le critiche e il documentario ne fornisce un divertente esempio quando ne ripropone le parole pronunciate con un sorriso sornione e in un misto di italiano e milanese, con un curioso accento sudamericano: "Io buco questa tela che era la base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita. Chi la vuol capire, sennò continuo a dire che l'è un büs...". Un buco. Semplicemente, o forse no. (ANSA).
Lucio Fontana, l'uomo che 'sfondò' la tela
Su Rai5 il racconto di un rivoluzionario dell'arte