Via il nome Cherokee dal popolare modello della Jeep, uno dei Suv più venduti negli Stati Uniti e nel mondo. L'antica nazione di nativi, un tempo padrona delle terre orientali del Nord America, è pronta a dissotterrare l'ascia di guerra se il colosso dell'auto Stellantis si rifiuterà di accogliere la richiesta avanzata dall'attuale leader del popolo indiano. "Non ci onora avere il nostro nome attaccato sulla targa di un'automobile", ha affermato Chuck Hoskin, eletto gran capo Cherokee nel 2019. Rivolgendosi direttamente ai vertici della multinazionale nata dalla fusione tra Psa e Fiat Chrysler (a cui appartiene il marchio Jeep), Hoskin ha quindi invocato la svolta, rilanciando negli Stati Uniti l'annosa questione dell'appropriazione culturale indebita, che si tratti di indiani d'America o di altre minoranze ben più rappresentative come quella degli afroamericani. "Penso sia arrivato il tempo in cui società o squadre sportive non utilizzino più nomi, immagini e mascotte legati ai nativi americani", ha spiegato il leader Cherokee, sostenendo come solo i nativi hanno il diritto di decidere come utilizzare i propri nomi e i propri simboli.
"I nomi delle nostre auto sono sempre stati scelti attentamente allo scopo di rendere omaggio ai nativi americani, alla nobiltà dei loro popoli, e al loro orgoglio e il loro coraggio", ha replicato con un comunicato la Jeep, dicendosi aperta ad aprire un dialogo con la nazione Cherokee. Ma arrivare a un cambio di nome dell'auto più di successo del marchio non è cosa semplice. Jeep ha infatti lanciato il primo modello del fuoristrada Cherokee 4X4 nel 1974. Poi quel nome dal 2001 non è stato più usato per diversi anni, quando fu interrotta la produzione del modello originale.
Fu ripescato nel 2013 e affibbiato alle due versioni del moderno Suv dei giorni nostri, il Cherokee e il Grand Cherokee. Quello dell'appropriazione culturale è ormai diventato negli Usa un tema di grandissima attualità, tanto quanto quello degli eroi e dei simboli confederati che richiamano i tempi bui dello schiavismo. Così se su quest'ultimo fronte è esplosa negli ultimi anni la cosiddetta 'guerra delle statue', sull'altro si moltiplicano i casi di squadre sportive che cambiano il proprio nome o di aziende costrette a modificare il logo di alcuni loro iconici prodotti. E' accaduto per lo sciroppo e i pancake di Old Aunt Jemina o per il riso Uncles Ben's, le cui confezioni raffiguravano uno stereotipo considerato razzista di personaggi afroamericani immaginari. Il caso più eclatante negli ultimi tempi è stato però quello della squadra di football americano di Washington, i 'Redskins', che ora si chiamano Washington Football Team. Mentre l'ultima edizione del Super Bowl è stata movimentata da vibranti proteste per alcuni simboli che caratterizzano la squadra dei Chiefs di Kansas City: delle punte di freccia (da cui il nome dello stadio Arrowhead Stadium) e il segno del 'chop', un movimento verso il basso della mano che indica l'ascia dei pellerossa tomahawk.
La squadra di baseball di Cleveland, invece, sarebbe sul punto di abbandonare il nome 'Indians' e di eliminare dal proprio logo tutti i riferimenti ai nativi d'America.(
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