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L'Italia all'Ue, 'agire subito per salvare l'automotive'

Urso: 'Tempesta perfetta, le fabbriche chiudono'

Redazione Ansa

 Davanti uno "scenario drammatico" di "una tempesta perfetta" l'Italia chiede un intervento rapido da parte dell'Europa: per salvare il futuro dell'auto e scongiurare multe salate ai costruttori già a partire dal prossimo anno servono "risorse comuni" e una "strategia industriale", ha sollecitato il ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, direttamente da Bruxelles. Nessuna retromarcia finora dall'Ue sul contestato stop ai motori a diesel e a benzina nel 2035, ma un assist è arrivato da Ursula von der Leyen in persona. Che, fresca di nomina per il bis, ha promesso l'avvio di un Dialogo strategico sul futuro dell'automotive assicurando che sarà lei a supervisionarlo.


Al fianco di Repubblica ceca, Austria, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Polonia, l'Italia ha portato sul tavolo del Consiglio Ue Competitività istanze e preoccupazioni delle case automobilistiche che rischiano di dover pagare dazio già nel 2025 se non si adegueranno per tempo ai target più rigidi sulle emissioni delle nuove auto immatricolate, previste dal regolamento sulle emissioni CO2. Le norme contemplano infatti nei prossimi dodici mesi l'entrata in vigore dei primi limiti più stringenti per le emissioni medie per i nuovi veicoli immessi sul mercato: ai produttori che supereranno il limite di 94 grammi/km di emissioni per le nuove vendite verranno imposte multe pari a 95 euro per g/km di anidride carbonica in eccesso emessa moltiplicata per il numero di veicoli venduti in quell'anno.


Il sistema delle penalità è pensato per scoraggiare e anzi far "crollare ogni loro possibilità di investimento", ha denunciato Urso, puntualizzando che per evitare di incorrere in sanzioni le industrie "rinunciano a investire nell'elettrico rinunciando a realizzare in Europa le gigafactory e chiudendo anche gli stabilimenti dell'endotermico". Uno scenario davanti al quale, con il non-paper promosso da Roma e Praga, anticipato nei giorni scorsi, i sette alleati hanno fatto appello all'Ue affinché "agisca subito" per creare le giuste condizioni per centrare l'obiettivo finale del 2035 e anticipando la revisione delle norme - prevista per legge nel 2026 - al prossimo anno così da scongiurare le penalità e non lasciare solo il comparto.
"Stiamo assistendo a un bollettino di guerra", ha messo in guardia il ministro, evidenziando che in questo clima di incertezza "nessuno investe più, né le imprese né i consumatori" e precisando che l'intervento di Bruxelles dovrebbe rispettare la "piena neutralità tecnologica".
Un impegno su cui von der Leyen ha lasciato intravedere qualche spiraglio d'azione. "Riuniremo tutte le parti interessate intorno a un tavolo per ascoltarci a vicenda", ha anticipato la tedesca che - sulla scia di quanto fatto per l'agricoltura - promette di progettare insieme agli stakeholder "le soluzioni" per una transizione "profonda e dirompente".
Anche perché i limiti più severi che scatteranno dal 2025 sono solo la punta dell'iceberg: un primo passo di una normativa che porterà prima a una riduzione delle emissioni del 55% dal 2030 per poi arrivare a vietare le vendite di nuovi veicoli a benzina e diesel dal 2035.
Soddisfatto dell'ampia "convergenza delle posizioni espresse dai Paesi sul nostro non-paper sull'automobile", il titolare del ministero delle Imprese ha anticipato che la battaglia dell'Italia riguarderà anche altri comparti industriali. Roma non è l'unica capitale a temere gli effetti negativi del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere, noto come 'carbon tax', ed è al lavoro con altri Paesi Ue, tra cui Francia e Polonia, per presentare a Bruxelles un nuovo documento informale per rivederne alcuni parametri - pronti a entrare in vigore dal 2026 - rivolti alle "industrie energivore, a partire da siderurgia e chimica". 

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