Donald Trump sembra frenare in parte sui dazi annunciati per il 2 aprile, che potrebbe risparmiare ad alcuni settori come auto, farmaci e chip, pur imponendo quelli reciproci ai "dirty 15", ossia ai 15 Paesi con cui gli Usa hanno il peggior squilibrio commerciale. L'ipotesi, trapelata su Bloomberg e Wall Street Journal, ha ridato slancio alla Borsa di New York che - a differenza di quelle europee - è rimbalzata dopo quattro settimane di perdite tra timori di guerre commerciali, crescita dell'inflazione e raffreddamento delle stime di crescita.
Il tycoon sembra quindi fare una mezza marcia indietro, dopo aver proclamato che il 2 aprile, da lui ribattezzato "Liberation Day", sarebbero scattati tutti i dazi, compresi quelli sulle auto, che ha già sospeso per un mese nel mercato nordamericano su richiesta delle tre Big (Gm, Ford e Stellantis). Se le tariffe sull'automotive fossero sospese, ne beneficerebbero in particolare la Germania e anche l'Italia, come principale subfornitore del settore tedesco. Resta sconosciuto il destino dei dazi su acciaio e alluminio a Canada e Messico, anche questi sospesi dal presidente sino al 2 aprile. Trump recentemente ha sottolineato l'importanza della flessibilità, ma la sua arma principale resta l'imprevedibilità e tutto potrebbe cambiare all'improvviso. Come con Caracas, cui ha imposto una "tariffa secondaria" contro l'emigrazione di "decine di migliaia di criminali", in base alla quale "qualsiasi Paese acquisti petrolio e/o gas dal Venezuela sarà costretto a pagare una tariffa del 25% agli Stati Uniti su qualsiasi commercio che faccia con il nostro Paese". Ma sul presidente pesano l'andamento della Borsa, che finora ha sofferto i venti di guerra commerciale, nonché i timori di un rialzo dell'inflazione e di una frenata della crescita, che hanno spinto la Fed a non tagliare il costo del denaro.
In ogni caso è deciso a imporre i dazi reciproci, in particolare su quelli che il segretario al Tesoro Scott Bessent ha definito i "dirty 15", espressione evocativa del titolo del celebre film del 1967 "Quella sporca dozzina", anche se i 15 in questo caso non fanno nulla di eroico. Sono i Paesi con cui Washington ha i maggiori squilibri commerciali e che quindi potrebbero essere colpiti più pesantemente. L'amministrazione americana non li ha nominati, ma si prevede che a essere presi di mira saranno quelli indicati dal rappresentante commerciale degli Stati Uniti in una nota del Federal Register in febbraio: in testa c'è la Cina (con cui gli Usa hanno un deficit di quasi 300 miliardi di dollari), seguita da Ue (oltre 225 miliardi) e Messico (quasi 175 miliardi). La lista comprende, in ordine decrescente, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada, India, Thailandia, Svizzera, Malesia, Indonesia, Cambogia e Sudafrica. Nel mirino anche la Russia. Resta l'incertezza se i dazi entreranno in vigore subito o se ci sarà un margine per negoziare, come stanno già facendo molti Paesi, Italia compresa.
Alcuni puntano sugli investimenti in Usa dei propri colossi industriali: come il gruppo sudcoreano Hyundai, che ha annunciato oggi un investimento da 20 miliardi di dollari, compresa un'acciaieria da 5 miliardi di dollari in Louisiana che dovrebbe assumere circa 1.500 dipendenti e produrre acciaio di nuova generazione per produrre veicoli elettrici in due suoi stabilimenti. "Il modo migliore di navigare tra i dazi è aumentare la localizzazione", ha ammesso il ceo di Hyundai Motor, José Muñoz.
La guerra dei dazi. Trump frena su auto, farmaci e chip
Restano nel mirino i 'dirty 15', inclusa l'Ue. Colpo a Caracas
