Le persone con diabete presentano un rischio doppio di complicanze epatiche, ovvero di sviluppare malattie del fegato anche gravi come cirrosi e cancro a partire da una condizione normalmente benigna molto diffusa (nei paesi occidentali riguarda una persona su 4) e spesso asintomatica, chiamata 'steatosi epatica' o 'fegato grasso'. Lo rivela uno studio senza precedenti che ha coinvolto 18 milioni di europei (tra cui anche italiani), condotto tra Queen Mary University of London e University of Glasgow e pubblicato sulla rivista BMC Medicine.
Il fegato grasso (non dovuto ad abuso di alcolici) è una condizione molto diffusa che va a braccetto con il sovrappeso.
Ma in un caso su sei questa situazione, normalmente benigna, può degenerare dando insufficienza epatica, cirrosi fino anche a tumore epatico.
In questo enorme lavoro gli esperti hanno innanzitutto dimostrato che fegato grasso e anche la sua degenerazione patologica (chiamata steatopatite non alcolica, NASH) sono spessissimo non diagnosticate se non tardivamente; ma hanno anche dimostrato che, rispetto ai non diabetici, chi soffre di diabete ha un rischio doppio di presentare il fegato grasso e un rischio ancora maggiore che la condizione diventi patologica. Gli autori sottolineano che sulla base di questi risultati il paziente diabetico andrebbe monitorato periodicamente anche per la prevenzione delle complicanze epatiche, troppo spesso silenti fino a uno stadio avanzato di degenerazione del fegato.
"Si tratta di uno studio rilevante, che ha dimostrato quanto sia importante che tutti i pazienti con diabete siano controllati sin dalla diagnosi, e poi monitorati nel tempo per diagnosticare precocemente una eventuale compromissione della funzione epatica" - ha spiegato in un commento all'ANSA Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID). La diagnosi precoce è cruciale per bloccare o almeno rallentare la progressione della steatosi verso stadi più avanzati della malattia epatica. Sono in corso anche diversi studi per individuare farmaci capaci di bloccare questa evoluzione, rileva Purrello. "Per questi motivi la SID ha già avviato un gruppo di lavoro congiunto con l'AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato), in modo da porre le basi a delle vere e proprie linee guida per la diagnosi e trattamento della steatosi epatica nel paziente diabetico", conclude Purrello.
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