(ANSA) - ROMA - Far parte di una famiglia i cui componenti sono particolarmente longevi diminuisce il rischio di sviluppare il diabete di tipo II. Questi vantaggi non derivano solo dal patrimonio genetico, ma probabilmente anche dagli stili di vita condivisi, tanto che i benefici riguardano anche i parenti acquisiti, come mariti e mogli. È quanto emerge da uno studio dell'Università di Pittsburgh (Usa), pubblicato su Frontiers in Clinical Diabetes and Healthcare.
I ricercatori hanno analizzato, tra il 2006 e il 2017, lo stato di salute di 4.559 donne e uomini sopra i 90 anni, dei loro fratelli (over 80enni), dei loro figli (tra i 32 e gli 88 anni) e dei loro generi e nuore. Ne è emerso che il 3,7% dei figli e il 3,8% dei generi e delle nuore avevano sviluppato il diabete di tipo II nel corso dello studio, con un tasso compreso tra il 4,6 e il 4,7 di nuovi casi all'anno ogni 1000 persone all'anno, circa il 53% in meno del tasso della popolazione media tra i 45 e i 64 anni negli Stati Uniti.
I tratti in comune, che sembravano proteggere dallo sviluppo del diabete II, includevano un basso indice di massa corporea e della circonferenza della vita, alti livelli di colesterolo HDL e bassi di trigliceridi, e poi una serie di ormoni, specie anti-infiammatori.
In particolare, lo studio ha dimostrato come le persone nate in famiglie eccezionalmente longeve differiscono dai coetanei per i livelli ematici di biomarcatori che influenzano il rischio di diabete di tipo II: il loro patrimonio genetico ed epigenetico, dunque, aiuta il loro corpo a rimanere reattivo all'insulina anche in età avanzata. Tuttavia anche i loro coniugi - indipendentemente dal fatto di essere nati da genitori longevi - tendono a condividere questi livelli di biomarcatori; ciò implica, secondo i ricercatori, che non vengono sempre ereditati ma possono essere sviluppati vivendo accanto alla persona giusta. (ANSA).