(di Silvana Logozzo)
Gli anziani che vivono nelle strutture residenziali sono particolarmente fragili e hanno un rischio più elevato di infezioni da Coronavirus, ma la dura lezione imparata in primavera e l'applicazione delle norme anti-contagio stanno rendendo meno drammatico l'impatto della seconda ondata del virus sulle Rsa. A rivelarlo è il primo studio multicentrico osservazionale GeroCovid Rsa della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) presentato al 65mo Congresso che si è tenuto in questi giorni.
"La presenza di minori sintomi e più lievi negli anziani residenti con Covid-19, suggerisce che per bloccare la trasmissione del Covid nelle strutture residenziali non basta fare i tamponi a chi accusa qualche sintomo", spiega Raffaele Antonelli-Incalzi, presidente Sigg , "la maggioranza non ha i segni classici della malattia, e per impedire la comparsa di nuovi focolai, evitando di accorgersi troppo tardi del contagio servono test a tappeto nelle Rsa, indipendentemente dal fatto che gli anziani presentino sintomi da Covid". I geriatri inoltre colgono l'occasione del Congresso per chiedere al governo e alle regioni di "realizzare un piano prioritario per le vaccinazioni degli anziani, con percorsi dedicati per le Rsa: "Senza un programma concreto, con le Regioni costrette a presentarsi con politiche tutte diverse, sarà il caos", affermano.
Tornando allo studio, i risultati evidenziano che durante la seconda ondata della pandemia sono state messe in atto quasi ovunque le procedure di sicurezza per il contenimento del contagio, tanto che casi di Covid-19 sono stati registrati soltanto in 9 strutture su 59 e la mortalità tra i residenti affetti da Covid è risultata relativamente contenuta.
Dall'analisi sulle 9 Rsa con residenti positivi al virus è emerso che gli anziani con Covid-19 manifestano pochi sintomi: solo il 29% sviluppa febbre alta, il 20% ha difficoltà respiratorie e non ci sono stati casi di mancanza di gusto e olfatto. Per quanto riguarda le norme anti-contagio, l'analisi evidenzia che la maggioranza ha messo in atto le procedure di sicurezza: in 8 casi su 10 vengono utilizzate ovunque le mascherine chirurgiche e il distanziamento fisico, sono vietate le visite e limitate le procedure specialistiche non necessarie, vengono misurate ogni giorno temperatura e saturazione di ossigeno e sono state create aree apposite per l'isolamento dei positivi.
"Abbiamo valutato con particolare attenzione le 9 Rsa di Lazio, Lombardia, Toscana e Veneto dove si sono registrati i casi di Covid-19, verificando che le percentuali di positività al virus sono molto variabili", commenta Alba Malara dell'Associazione Nazionale Strutture Terza Età (Anaste) di Lamezia Terme (Catanzaro), coordinatrice dello studio. "I dati - conclude - dicono che si va da un caso nel Lazio, in cui il contagio è rimasto confinato a un solo operatore sanitario e nessun residente, a una Rsa lombarda in cui il 59% dello staff è risultato positivo contro appena il 5% dei residenti, fino a situazioni in cui il 43-46% degli ospiti è rimasto contagiato assieme al 18-22% degli operatori".