Nuovi anticorpi di ultima generazione stanno dimostrando di essere una speranza sempre piu' concreta per trattare i tumori resistenti alle cura, con una doppia azione: colpendo le cellule malate e risvegliando le difese immunitarie. Una patologia rara e molto aggressiva che colpisce in Italia circa 4400 persone l'anno, in maggior parte di età adulta, di cui almeno il 35% purtroppo non risponde ai trattamenti standard o sviluppa successivamente recidive, è il linfoma a cellule B, il più comune tra i linfomi non-Hodgkins e per questi pazienti "difficili" da trattare, arrivano proprio i nuovi anticorpi nati dalla ricerca dell'IRCCS Candiolo di Torino. Il punto sulle nuove terapie arriva in occasione della giornata mondiale delle malattie rare che si celebra il 28 febbraio.
"Negli ultimi anni abbiamo assistito a un fiorire di tecniche altamente innovative per il loro trattamento che fanno ben sperare visti i risultati finora ottenuti - commenta Umberto Vitolo, Ematologia-oncologia medica IRCCS Candiolo, coordinatore degli studi oncoematologici - La prospettiva di guarigione dipende dal tipo di linfomi ma oggi le possibilità di sconfiggere anche tumori aggressivi come i linfomi a cellule B, che non rispondono alle terapie standard o si dimostrano recidivi, sono molto aumentate".
Il Candiolo è partner di un progetto di ricerca per valutare l'efficacia di anticorpi di ultima generazione detti bispecifici cioè a 'doppia azione', perché in grado di attaccare le cellule del linfoma e, contemporaneamente, risvegliare le difese immunitarie del paziente contro il tumore, rendendo attive le cellule T. "I protocolli di terapia si concentrano soprattutto nei pazienti con linfoma a cellule B che hanno fallito la terapia standard di prima linea non possono per ragioni di età o perché il paziente soffre anche di altre malattie, essere trattati con trapianto di cellule staminali o con CART - specifica Vitolo.
Promettente anche uno studio multicentrico di cui il Candiolo è coordinatore, che mira ad indagare la capacità di un inibitore della crescita tumorale di nuova generazione, l'inibitore della proteina PI3K che promuove la crescita del tumore, in associazione ad immuno-chemioterapia per potenziare l'efficacia della terapia tradizionale. "L'inibitore di PI3K è una piccola molecola che funziona 'appiccicando' sulla proteina bersaglio dei piccoli gruppi chimic), così da bloccarne l'azione" e favorire in questo modo la morte della cellula linfomatosa sottolinea Vitolo.
Sei mesi fa è partito anche un altro studio di cui il Candiolo è coordinatore nazionale, su un anticorpo per pazienti di nuova diagnosi, ma con malattia estremamente aggressiva. "La ricerca ha come obiettivo di valutare se, aggiungendo l'anticorpo monoclonale anti-CD19 insieme a un "agente biologico" che modula la risposta immunologica, alla chemioimmunoterapia standard migliorano i tassi di guarigione di questi pazienti attualmente fermi al 50%. L'anticorpo, che sarà presto autorizzato in Italia nei pazienti in ricaduta, funziona legandosi a una sorta di 'tag' molecolare sulla cellule del tumore e, dopo essersi 'arpionato' a esse, innesca dei meccanismi che la annienta" sottolinea l'esperto. E non è tutto. Al Candiolo è stata avviata di recente anche una ricerca per individuare nuovi biomarcatori per pazienti con linfoma a cellule B resistenti o refrattari alle terapie inclusa chemioterapia ad alte dosi e trapianto autologo di cellule staminali.
"L'indagine ha lo scopo di indagare nuove alterazioni molecolari e cromosomiche attraverso analisi biologiche sul DNA e RNA delle cellule del linfoma - spiega Vitolo - integrando queste informazioni con parametri funzionali della malattia, come ad esempio la sua maggiore o minore attività e il volume tumorale attraverso la PET" "Questi - conclude l'esperto - sono in realtà solo alcuni dei progetti che abbiamo in corso e che speriamo daranno presto risultati concreti capaci di cambiare il destino di molti pazienti su cui le cure attualmente in uso spesso falliscono; l'obiettivo ultimo (ANSA).