(ANSA) - ROMA, 24 NOV - Le donne vittime di violenza in
Pronto soccorso possono contare su uno strumento di tutela, nato
dall'idea di una dottoressa toscana e da cinque anni istituito
in tutta Italia. È il Codice Rosa, uno specifico percorso di
accesso al Pronto Soccorso che ha fatto la sua prima comparsa
nel 2010 nell'ex Azienda USL 9 di Grosseto.
Le linee guida forniscono alle aziende sanitarie e ospedaliere
strumenti operativi per riconoscere la violenza e identificare
tutti i suoi aspetti, supportare la vittima, stimare il rischio
per la sua tutela, documentare con precisione la violenza,
informare e indirizzare la vittima ai soggetti della rete. "Il
Codice rosa è nato da un atto di grande coraggio ma anche di
grande umiltà - afferma Doretti - tutto è partito dalla
constatazione che, in una piccola provincia come quella di
Grosseto, in un anno avessimo due casi di violenza sulle donne
in Pronto soccorso ma la Procura aveva, per lo stesso
territorio, sessanta fascicoli, oltre al fatto che guardando
agli accessi nei centri antiviolenza della zona, si registravano
duecento accessi, sempre nello stesso periodo di tempo.
Evidentemente mancava un raccordo".
Il percorso è attivo qualunque sia la modalità di accesso al
servizio sanitario, sia esso in area di emergenza-urgenza,
ambulatoriale o di degenza ordinaria e inizia al triage. "È lì
che va fatta formazione affinché si sviluppi una sensibilità
nelle infermiere e negli infermieri - aggiunge Doretti - poiché
anche se il Pronto soccorso non è il posto migliore per
affrontare questo tema, prima o poi una donna vittima di
violenza è da lì che passa ed è lì che va aiutata". Identificare
un caso passa "dalla sensibilità di chi accoglie che da una
frase sintomatica, magari sussurrata, di una paziente intuisce
la violenza e anche se c'è un dubbio - sottolinea Doretti - la
donna va accolta comunque nel Pronto soccorso con il Codice
rosa, in un luogo adeguato, il che le consente di avere una
visita velocemente, entro 20 minuti al massimo, anche se le sue
lesioni, per gravità, non sono quelle di un codice rosso". Se la
donna fornisce il suo consenso, il personale medico sanitario
può scattare foto delle lesioni e prendere campioni o metterla
in contatto da subito con i centri antiviolenza o con le forze
dell'ordine per sporgere querela. Nel caso in cui venga
riscontrato, attraverso un questionario, un rischio alto per la
sicurezza della vittima, la donna viene presa in carico dalla
rete territoriale o anche dall'ospedale stesso e viene messa in
sicurezza per almeno 72 ore, fino a quando non prenderà contatti
con assistenti sociali o, se vorrà, deciderà di tornare a casa.
Tutto passa attraverso il suo consenso. E nel caso in cui si
presenti in Pronto soccorso con i figli minori, questi devono
essere accolti insieme alla madre. Secondo una indagine del
Ministero della Salute, a cinque anni dall'attuazione delle
Linee guida, nel 79% dei Pronto soccorso è previsto il supporto
di mediatrici linguistico-culturali per via telefonica, in caso
di donne straniere e nel 44% delle strutture il supporto avviene
direttamente in presenza in Pronto soccorso. (ANSA).
Violenza donne:nei pronto soccorso il codice rosa che tutela
Percorso protetto e accesso a rete sicura, anche per le mamme