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Scoperto un gene chiave che può influenzare la longevità

Uno studio pubblicato su Nature Communication fa luce su Oser1. Si tratta di una proteina che esiste in vari animali, come i moscerini della frutta, i bachi da seta e gli esseri umani

La longevità è legata agli orologi molecolari delle cellule (fonte: PeackPx)

Redazione Ansa

Sonno, esercizio fisico, vita sociale, alimentazione ricca di frutta e verdura: sono molti i consigli su come cercare di avere una lunga vita. I ricercatori dell'Università di Copenaghen hanno però aggiunto un tassello in più alle conoscenze sul tema, scoprendo il ruolo di una proteina conosciuta come Oser1, che sembra avere una grande influenza sulla longevità e potrebbe aprire la strada a nuove cure.

Non è la prima volta che viene individuata un'associazione tra una proteina e una migliore predisposizione al vivere più a lungo e in salute. Un precedente studio coordinato da Annibale Puca del Gruppo MultiMedica di Milano e Paolo Madeddu dell'Università di Bristol, aveva individuato nei centenari il ruolo della proteina BPIFB4, nella sua variante Lav.

Ora, grazie a un lavoro i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications, il team danese ha identificato un nuovo fattore pro-longevità: "si tratta di una proteina che esiste in vari animali, come i moscerini della frutta, i bachi da seta e gli esseri umani", afferma Lene Juel Rasmussen, autrice senior del nuovo studio.

I ricercatori hanno scoperto Oser1 studiando un gruppo più ampio di proteine regolate dal principale fattore di trascrizione Foxo, noto come hub regolatore della longevità. "Abbiamo trovato 10 geni che, quando abbiamo manipolato la loro espressione, hanno cambiato la longevità. Abbiamo deciso di concentrarci su uno che sembrava avere un influenza maggiore, il gene Oser1", afferma Zhiquan Li, primo autore del nuovo studio.

Dopo averlo studiato in modelli animali, i ricercatori sono ora concentrati sul ruolo del gene negli esseri umani, "ma fino ad oggi è stato pubblicato molto poco su questo", precisano. L'obiettivo è che l'identificazione fornisca nuovi bersagli farmacologici per le malattie legate all'età, come quelle cardiovascolari e neurodegenerative. 

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