Le sigarette possono 'mandare in fumo' il lavoro del dentista: in caso di malattia delle gengive (parodontite), infatti, il fumo riduce l'efficacia delle terapie, per esempio della rimozione del biofilm batterico che causa il problema. Chi fuma ottiene minori benefici dal trattamento e le tasche gengivali (che si formano tra la gengiva e la radice del dente e dove i batteri si concentrano e rilasciano tossine che minano la stabilità dentale) restano più 'aperte' con rischio di perdita dentale.
La conferma arriva da uno studio quasi unico nel suo genere per dimensioni del campione e durata (1551 individui coinvolti, seguiti per 35 anni) che è stato condotto da Aorra Naji, del dipartimento di parodontologia a Falun, in Svezia.
Lo studio sarà presentato a EuroPerio9, il congresso della Federazione Europea di Parodontologia che si terrà ad Amsterdam.
"Che il fumo contribuisca a ridurre l'efficacia delle cure parodontali è un dato consolidato da tempo - spiega all'Ansa Luca Landi, Presidente Eletto della Società Italiana di Parodontologia & Implantologia; gli effetti del fumo su gravità e progressione della parodontite sono ben noti e tante le evidenze scientifiche anche sull'influenza del fumo sull'esito della terapia, tanto che il fumo è proprio una delle controindicazioni all'esecuzione di procedure chirurgiche ricostruttive dei tessuti parodontali. Anche per quanto riguarda la terapia non chirurgica (che consiste nella pulizia profonda sotto-gengivale con rimozione del biofilm di batteri che causano la malattia) da alcuni anni sono state accumulate evidenze sull'effetto negativo del fumo, ma questo studio è importante per durata e dimensioni del campione", ribadisce l'esperto.
"Il trattamento non chirurgico della parodontite riduce le tasche superiori a 4 mm (la cui profondità è un segno del rischio di perdita dentale) sia nei fumatori sia nei non fumatori - spiega Naji - ciò nonostante noi abbiamo scoperto che a un anno dal trattamento la riduzione è più pronunciata nei non fumatori".
I clinici svedesi hanno visto che mentre nel fumatore a un anno dal trattamento si riduce una tasca su due (il 51%), nel non fumatore se ne riducono 3 su 4 (72%), rileva Landi.
Il problema del fumo è dato da più fattori, spiega Landi: innanzitutto il fumo causa tossicità diretta dovuta alla nicotina e ai prodotti della combustione con alterazione del microcircolo e sclerosi dei tessuti gengivali che diventano meno capaci di rispondere all'insulto dei batteri. Poi vi è l'effetto sistemico del fumo che altera e distrugge alcune funzionalità immunitarie e quindi mette più a rischio di infiammazione, sia sistemica, sia locale a livello delle gengive. Infine, anche la rigenerazione del tessuto gengivale dopo la pulizia procede più lentamente nel fumatore. È importante, quindi, ricorda Landi, che il paziente fumatore che si appresti a una terapia parodontale sia messo al corrente che parte della terapia consiste proprio nella cessazione del fumo; la cosa interessante è che smettere di fumare solo transitoriamente non ha effetto, le conseguenze positive si vedono solo dopo la cessazione duratura del vizio e solo dopo dieci anni si azzera il rischio parodontale fumo-collegato. "Il dentista dunque - conclude Landi - deve sempre avere l'accortezza di chiedere al paziente se fuma e di avvertirlo dei rischi a ciò correlati, cercando di motivarlo a eliminare questa abitudine nociva che può provocare anche problemi con gli impianti dentali, aumentare il rischio di tumore del cavo orale oltre a tutte le altre ben note complicanze di natura sistemica".
Le sigarette 'mandano in fumo' la cura delle gengive
Terapie per parodontite meno efficaci sui fumatori