La legge 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma) arriva ancora una volta al cospetto della Corte Costituzionale e, questa volta, il nodo riguarda una questione particolarmente delicata: il diritto della donna separata o divorziata, che assieme al marito/compagno aveva precedentemente effettuato un percorso di Pma, di utilizzare, dopo la separazione, embrioni eventualmente sovrannumerari residui per tentare una nuova gravidanza in solitaria contro la volontà dell'ex partner.
Il Tribunale di Roma ha infatti accolto il ricorso dell'avvocato Gianni Baldini, anche direttore della Fondazione Pma Italia e autore di molti ricorsi in merito, ed ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.
Tra qualche mese, rileva l'avvocato, la Corte Costituzionale "dovrà dunque pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art 6 c 3 che prevede l'irrevocabilità del consenso prestato, confermando la disposizione o dichiarandone la contrarietà alla Costituzione sancendo così la piena revocabilità del consenso informato reso in Pma parimenti a quanto avviene per qualsiasi altro trattamento sanitario". "La decisione del Tribunale di Roma risulta assolutamente condivisibile. La prospettiva infatti che anche dopo dopo la fine della relazione di coppia e quindi il venir meno del comune progetto genitoriale si potesse, anche a distanza di molto tempo, procedere non solo all'uso degli embrioni sovrannumerari per tentare una maternità solitaria ma addirittura obbligare l'ex marito/compagno ad assumere tutti gli obblighi genitoriali nei confronti del figlio che eventualmente dovesse nascere, è - commenta Baldini - una prospettiva assurda". In tutti i trattamenti sanitari, inoltre, "il consenso è liberamente revocabile da parte dell'interessato e non si vede perchè in questo caso non dovrebbe esserlo, con la conseguenza di affermare un consenso ad effetti perpetui e dalle conseguenze giuridiche incalcolabili".
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