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Violenza donne: nei pronto soccorso il codice rosa che tutela

Percorso protetto e accesso a rete sicura, anche per le mamme

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 24 NOV - Le donne vittime di violenza in Pronto soccorso possono contare su uno strumento di tutela, nato dall'idea di una dottoressa toscana e da cinque anni istituito in tutta Italia. È il Codice Rosa, uno specifico percorso di accesso al Pronto Soccorso che ha fatto la sua prima comparsa nel 2010 nell'ex Azienda USL 9 di Grosseto. Come progetto pilota. L'idea di una corsia protetta per le vittime di violenza è venuta alla dottoressa Vittoria Doretti, Responsabile della Rete Regionale Codice Rosa della Toscana e Componente Esperta del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Nazionale sul fenomeno della violenza sulle donne presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel 2016 è stata costituita una Rete regionale in Toscana e dal 2017 sono in vigore le Linee guida ministeriali valide in tutto territorio nazionale ovvero in tutti i Pronto soccorso d'Italia.
    Le linee guida forniscono alle aziende sanitarie e ospedaliere strumenti operativi per riconoscere la violenza e identificare tutti i suoi aspetti, supportare la vittima, stimare il rischio per la sua tutela, documentare con precisione la violenza, informare e indirizzare la vittima ai soggetti della rete. "Il Codice rosa è nato da un atto di grande coraggio ma anche di grande umiltà - afferma Doretti - tutto è partito dalla constatazione che, in una piccola provincia come quella di Grosseto, in un anno avessimo due casi di violenza sulle donne in Pronto soccorso ma la Procura aveva, per lo stesso territorio, sessanta fascicoli, oltre al fatto che guardando agli accessi nei centri antiviolenza della zona, si registravano duecento accessi, sempre nello stesso periodo di tempo.
    Evidentemente mancava un raccordo".
    Il percorso è attivo qualunque sia la modalità di accesso al servizio sanitario, sia esso in area di emergenza-urgenza, ambulatoriale o di degenza ordinaria e inizia al triage. "È lì che va fatta formazione affinché si sviluppi una sensibilità nelle infermiere e negli infermieri - aggiunge Doretti - poiché anche se il Pronto soccorso non è il posto migliore per affrontare questo tema, prima o poi una donna vittima di violenza è da lì che passa ed è lì che va aiutata". Identificare un caso passa "dalla sensibilità di chi accoglie che da una frase sintomatica, magari sussurrata, di una paziente intuisce la violenza e anche se c'è un dubbio - sottolinea Doretti - la donna va accolta comunque nel Pronto soccorso con il Codice rosa, in un luogo adeguato, il che le consente di avere una visita velocemente, entro 20 minuti al massimo, anche se le sue lesioni, per gravità, non sono quelle di un codice rosso". Se la donna fornisce il suo consenso, il personale medico sanitario può scattare foto delle lesioni e prendere campioni o metterla in contatto da subito con i centri antiviolenza o con le forze dell'ordine per sporgere querela. Nel caso in cui venga riscontrato, attraverso un questionario, un rischio alto per la sicurezza della vittima, la donna viene presa in carico dalla rete territoriale o anche dall'ospedale stesso e viene messa in sicurezza per almeno 72 ore, fino a quando non prenderà contatti con assistenti sociali o, se vorrà, deciderà di tornare a casa.
    Tutto passa attraverso il suo consenso. E nel caso in cui si presenti in Pronto soccorso con i figli minori, questi devono essere accolti insieme alla madre. Secondo una indagine del Ministero della Salute, a cinque anni dall'attuazione delle Linee guida, nel 79% dei Pronto soccorso è previsto il supporto di mediatrici linguistico-culturali per via telefonica, in caso di donne straniere e nel 44% delle strutture il supporto avviene direttamente in presenza in Pronto soccorso. (ANSA).
   

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