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L'Italia è il Paese Ue con meno casi di violenza su partorienti

Coordinatrice Rapporto, 'ora non si potrà più ignorare fenomeno'

Redazione Ansa

(ANSA) - UDINE, 14 GIU - L'Italia, con il 21% dei casi registrati tra il 2017 e il 2022, è il Paese europeo con il più basso numero di episodi di violenza ostetrica ai danni delle partorienti, ossia un insieme di atti, comportamenti e omissioni oggi riconosciuti internazionalmente come violenza di genere e violazione dei diritti umani, È uno dei principali risultati del primo rapporto dell'Unione europea sul problema della violenza ostetrica negli Stati membri, coordinato da Patrizia Quattrocchi, docente di antropologia medica del Dipartimento di Studi umanistici dell'Università di Udine. L'indagine è stata richiesta dalla Commissione europea ed è intitolata "Obstetric Violence in the European Union: Situational analysis and policy recommendations". Il report è stato già presentato ai funzionari della Commissione europea e a diverse società scientifiche di ginecologia e ostetricia.
    Frutto di una raccolta dati effettuata tra il 2022 e il 2023 nei 27 Paesi membri dell'Unione, presenta per la prima volta una panoramica delle principali forme di violenza ostetrica subite dalle donne nei servizi di assistenza al parto e alla nascita in Europa, delineando anche le buone pratiche e le principali iniziative politiche e sociali attuate nei diversi Paesi per contenere il fenomeno. Dai dati emerge che la percentuale di donne partorienti che ha subito una o più forme di violenza ostetrica va dal 21% dell'Italia all'81% della Polonia, e che tutte le donne, indipendentemente dallo status economico, livello di istruzione o background socioculturale, sono a rischio di violenza ostetrica. "Ora abbiamo finalmente una panoramica della situazione nei Paesi europei che ci indica anche le mancanze - ha sottolineato Quattrocchi -. In particolare la necessità di definire strumenti standardizzati per poter comparare i dati nei diversi Stati. Ci auguriamo che il report sia portato all'attenzione dei governi, delle istituzioni sanitarie e degli organi professionali, anche in Italia. Ora non si può più affermare che in Europa il fenomeno non esiste: dobbiamo prendercene carico e identificare dispositivi, legislativi e formativi per esempio, per contenerlo". (ANSA).
   

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