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Allarme sexting, 1 adolescente su 2 condivide foto intime

Indagine, il 3,6% non si riconosce in genere maschile o femminile

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Redazione Ansa

Condividere contenuti intimi con il proprio partner non è più un tabù ed è anzi sempre più frequente per gli adolescenti. Lo ha fatto il 55% delle ragazze e il 52% dei ragazzi tra i 13 e i 19 anni con picchi del 75% tra i più grandi. Inoltre tra gli adolescenti il 3,6% dichiara di non identificarsi né con il genere maschile né con quello femminile.
    Questo quanto emerge dall'ultima Indagine nazionale sugli stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata dal Laboratorio Adolescenza e dall'Istituto di ricerca Iard.
    Il fenomeno, spiega Loredana Petrone, psicologa e sessuologa dell'Università di Roma, "è espressione di come anche la sessualità si sia trasformata con l'utilizzo delle nuove tecnologie". Negarlo, secondo l'esperta, rischia di peggiorare le cose: "Dobbiamo renderci conto che la Rete oggi è un 'luogo dove questa sessualità si esprime. Solo facendo così avremo la serenità di parlare con gli adolescenti di queste cose e cercare di evitare che si imbattano nel revenge porn o nella sextortion (estorsione sessuale) che rappresentano dei rischi gravissimi", aggiunge. Il sexting è solo uno dei fenomeni emergenti nel rapporto tra Rete e sessualità dei ragazzi. Secondo la rilevazione, che ha coinvolto 3.427 studenti, il 15% delle ragazze e il 10% dei maschi ammette di aver postato almeno una volta sui propri profili social proprie foto o video dal contenuto sessualmente provocante. Cresce, inoltre, tra i social network usati dai ragazzi, OnlyFans, frequentato dal 10% delle ragazze e dal 20% dei maschi. Sulla piattaforma è, teoricamente, possibile pubblicare e visualizzare contenuti a esplicito riferimento sessuale. In questo scenario "se il ruolo dei maschi è prevalentemente quello di 'voyeur', quello delle ragazze è verosimilmente quello di protagoniste attive", ipotizzano gli estensori del rapporto.
    Poi il dato del 3,6% di chi si dichiara non binario è "un dato interessante da registrare e che probabilmente, confrontando studi simili effettuati negli Usa, ancora sottostima la realtà", spiega Piernicola Garofalo, endocrinologo, già presidente della Società italiana di medicina dell'adolescenza sottolineando che l'errore da non commettere "è quello di ignorare il fenomeno o cercare ipocritamente di occultarlo".
    Nell'indagine, tuttavia, non c'è solo la sessualità dei ragazzi. Il sondaggio ha infatti osservato che tra le paure degli adolescenti torna a comparire la guerra: per il 63% di loro è un pensiero o un incubo ricorrente. "È probabilmente la prima volta, dal dopoguerra a oggi che una generazione di adolescenti teme realmente la possibilità di una guerra che ci coinvolga direttamente come Italia e come Europa", afferma Maurizio Tucci, presidente di Laboratorio Adolescenza.
    "Impossibile che questa sorta di spada di Damocle che pensano di avere sulla testa non condizioni anche tutto il resto".
    Il 68,7% del campione, spesso o qualche volta si sente triste senza riuscire ad attribuire questa tristezza ad una causa specifica. Per il 39% questi momenti di tristezza immotivati sono aumentati rispetto al recente passato.
    Questa sensazione ha ripercussioni su aspetti rilevanti della vita. Per esempio, il sonno. Il 60% delle ragazze e il 45% dei ragazzi fa fatica ad addormentarsi e il senso di tristezza è tra le cause principali.
    Si va deteriorando, inoltre, il rapporto tra adolescenti e società. È poco sopra il 50% la fiducia nelle forze dell'ordine, al 48% quella negli insegnanti, al 25% quella nei giornalisti, al 10% quella negli influencer, al 2,9% quella per i politici.
    Gli unici a reggere sono i genitori (si fida di loro il 90%) e gli amici (86%). "Fidarsi, e quindi sentirsi al sicuro, solo nel mondo circoscritto a familiari e amici è un segno di disagio ad affrontare il mondo esterno", afferma Tucci. "Ma ritirarsi nel guscio a sedici anni, quando il desiderio dovrebbe essere quello di esplorare e, possibilmente, conquistare il mondo, è una preoccupante contraddizione in termini sulla quale dovremmo riflettere", conclude.
   

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