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Udito e vista, proteggerli per ridurre il rischio di Alzheimer

Le raccomandazioni dei neurologi: "Una malattia non inevitabile"

Redazione Ansa

A causa del rapido invecchiamento della popolazione il numero di persone affette da demenza in Italia quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre 3 milioni, con costi stimati che passeranno da 23 miliardi a più di 60 miliardi di euro. Diversi studi però mostrano che questa malattia non è inevitabile e intervenire sui fattori di rischio potrebbe prevenire o ritardare quasi la metà dei casi. In vista della Giornata mondiale dell'Alzheimer che si celebra il 21 settembre, la Società italiana di neurologia chiede ai governi e alla società di impegnarsi nella prevenzione.

Recenti studi hanno individuato due nuovi fattori di rischio per le demenze: elevato colesterolo "cattivo" nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata.

Questi si aggiungono a quelli noti e che sono collegati al 40% di tutti i casi: come bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, eccesso di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale. Ma anche la contaminazione degli alimenti, le alterazioni del microbiota intestinale e orale, i disturbi del sonno, le infezioni da virus herpes simplex.

 "Per ridurre il rischio può e deve essere fatto molto di più - afferma Alessandro Padovani, presidente della Sin - Abbiamo prove del fatto che un'esposizione più lunga ai diversi fattori di rischio ha un effetto maggiore". Di qui le raccomandazioni, a partire da un'istruzione permanente, l'uso del casco per la testa nelle attività sportive di contatto, ridurre l'esposizione all'inquinamento; promuovere una lotta all'isolamento e favorire la prevenzione dei disturbi della vista e dell'udito con screening dai 65 anni. E, ancora, più promozione della salute dei denti e del metabolismo, così come di un'alimentazione sana e di una attività fisica in età avanzata. Questo permetterebbe di ridurre il rischio di demenza, ritardarne l'insorgenza e rallentarne il decorso. L'Italia potrebbe in questo modo ottenere in 20 anni risparmi sui costi attuali pari a circa 10 miliardi di euro da destinare ad attività di sostegno ai malati e ai familiari. 
   

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