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Scoperte altre 2 spie del Parkinson, verso nuovi farmaci

Ricerca a guida italiana,punta a ridurre gli effetti collaterali

Neuroni dopaminergici (fonte: Marcello Serra)

Redazione Ansa

Individuate nel cervello due nuove spie della malattia di Parkinson e grazie a questo risultato diventa possibile mettere a punto nuove terapie in grado di contrastare l'evoluzione della malattia, limitando gli effetti collaterali. ncbi.nlm.nih.gov/37336364/">Pubblicata in due articoli sulla rivista Neurobiology of Disease, la scoperta si deve alla ricerca internazionale condotta fra Italia, Stati Uniti, Francia e Giappone. Le due spie sono gli alti livelli degli amminoacidi D-serina e L-serina, che nelle persone con il Parkinson compensano la progressiva perdita dei neuroni che producono la dopamina, il neurotrasmettitore che gioca un ruolo importante anche nel controllo del movimento.

"Grazie ai risultati di questa ricerca, sarà possibile in futuro testare innovativi approcci terapeutici volti a migliorare il quadro clinico e a combattere più efficacemente la progressione di questa devastante patologia", osserva il coordinatore della ricerca Alessandro Usiello, ordinario di Biochimica clinica dell'Università della Campania Luigi Vanvitelli e direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli. "Ad oggi - prosegue - la cura del Parkinson è infatti limitata a causa degli effetti collaterali (le discinesie) prodotti dal principale farmaco usato dagli anni '60, L-dopa, e non è ancora riuscita a colmare i deficit cognitivi e comportamentali refrattari ai trattamenti al momento disponibili per i pazienti. Pertanto, approcci terapeutici combinatoriali saranno oggetto delle future ricerche". Allo studio hanno collaborato l'Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli, la Columbia University di New York, la Keio University School of Medicine di Tokyo, l'Istituto di Neuroscienze di Bordeaux, le università di Roma Tor Vergata e Cattolica di Roma, la 'Federico II di Napoli e l'Università di Cagliari.

Attualmente la terapia più diffusa contro il Parkinson consiste nella somministrazione di L-Dopa, il farmaco precursore della dopamina sviluppato nei primi anni '60 che agisce la concentrazione di dopamina nel cervello. Tuttavia, nonostante i buoni risultati nelle fasi iniziali della terapia, benché gli effetti terapeutici della L-Dopa verso i sintomi motori della malattia siano notevoli, soprattutto durante le fasi iniziali del trattamento, il suo utilizzo prolungato determina però effetti collaterali disabilitanti, come disturbi del movimento.

Nuove terapie potrebbero essere adesso messe a punto sulla base della scoperta del legame fra i livelli di D-serina e L-serina individuati sia in ricerche sugli animali, sia nel liquido cerebrospinale, sia nei tessuti cerebrale dei pazienti prelevate nel corso dell'autopsia. Livelli che, secondo gli autori della ricerca, potrebbero "rappresentare una risposta neuro-adattiva volta a mitigare la progressiva perdita dei neuroni dopaminergici mesencefalici". Il passo ulteriore della ricerca, rileva Usiello, sarà "valutare i potenziali effetti terapeutici a livello motorio, cognitivo e neurochimico indotti da una supplementazione cronica di D-serina e L-serina in modelli sperimentali validati della malattia di Parkinson".

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