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Trovato uno dei motori che fanno crescere il tumore del pancreas

Grazie a una ricerca italiana

Cellule del tumore del pancreas (fonte: Min Yu/Eli and Edythe Broad Center for Regenerative Medicine and Stem Cell Research at USC,USC Norris Comprehensive Cancer Center, Pancreatic Desmoplasia, da Flickr)

Redazione Ansa

C'è un nuovo bersaglio contro uno dei tumori più aggressivi, quello del pancreas. Ad aprire questa nuova strada, ancora lunga prima di poter arrivare a una terapia, ma promettente, è la scoperta italiana nature.com/articles/s41586-023-06685-2">pubblicata sulla rivista Nature: è stato identificato uno dei meccanismi che alimentano la crescita del tumore e che ora diventa un bersaglio terapeutico per rallentare la progressione della malattia. La ricerca è stata guidata dall'Istituto San Raffaele di Milano, con l'Istituto Telethon di terapia genica e l'Università Vita e Salute. Vi hanno collaborato inoltre le Università di Torino e Verona, l'Istituto francese per la sanità e la ricerca medica (Inserm), il centro di ricerca Biopolis di Singapore e l'Università di Shanghai.

"Abbiamo fatto un bel passo avanti nella comprensione dei processi biologici alla base della malattia. Tuttavia siamo a uno stato di ricerca preclinica ancora distante dall'applicazione nei pazienti", osservano gli autori dello studio, sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, Consiglio Europeo della Ricerca e ministero della Salute. "I prossimi anni - aggiungono i ricercatori - saranno essenziali per identificare le potenzialità e le modalità più appropriate per agire su questo nuovo bersaglio terapeutico".

A favorire la crescita di questa forma di tumore purtroppo ancora molto letale, l'adenocarcinoma duttale del pancreas, è la speciale alleanza fra un particolare tipo di cellule immunitarie, chiamate macrofagi IL-1beta+, e alcune cellule tumorali molto aggressive e note per essere legate a infiammazioni. "Si tratta di una sorta di un circolo vizioso autoalimentato. I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive, e le cellule tumorali riprogrammano i macrofagi in grado di favorire l'infiammazione e la progressione della malattia", osserva il coordinatore della ricerca Renato Ostuni, responsabile del laboratorio di Genomica del Sistema Immunitario Innato all'Istituto Sr-Tiget e professore associato all'Università Vita-Salute San Raffaele.

I macrofagi sono cellule del sistema immunitario innato che si attivano rapidamente per proteggere i tessuti, ma nel caso dei tumori vengono riprogrammate e aiutano la malattia. Vengono chiamati 'Tam', che sta per 'macrofagi associati al tumore' e sono bersagli importanti dell'immunoterapia, ma nel tumore del pancreas è molto difficile colpirli. La scoperta della loro alleanza con le cellule tumorali potrebbe cambiare la situazione. "Oltre a essere caratterizzato da un sistema immunitario compromesso, che limita l'efficacia anche delle più avanzate immunoterapie, il tumore del pancreas presenta una forte componente infiammatoria", osserva Ostuni. "Ciò è particolarmente rilevante - prosegue - poiché l'insorgenza di danni ai tessuti, e le risposte infiammatorie che ne conseguono, quali le pancreatiti, sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico".

Identificare le cellule immunitarie impazzite ha richiesto tecnologie avanzate, un lungo lavoro di analisi e una forte collaborazione, sia fra discipline diverse, dalla genetica alla bioiformatica, sia fra ricercatori e medici dell'Irccs ospedale San Raffaele. E' stato anche necessario ottenere l'identikit molecolare di migliaia di queste cellule prelevate da pazienti con il tumore del pancreas. Tutto questo ha permesso di identificare un sottogruppo di macrofagi specializzati nel rendere le cellule tumorali particolarmente aggressive: si annidano in nicchie vicine alle cellule malate, inducendole a scatenare infiammazioni e le cellule tumorali così trasformate potenziano a loro volta i macrofagi. Uno degli obiettivi della ricerca è ora rompere questa alleanza, innanzitutto allontanando i macrofagi dalle cellule tumorali. "I risultati, seppure ottenuti per ora in studi solo di laboratorio, sono incoraggianti", dicono Nicoletta Caronni e Francesco Vittoria, tra gli autori principali dell'articolo.

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