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Anche il cervello controlla il battito del cuore

La scoperta aiuterà a capire aritmie e ansia

Scoperto il meccanimo con cui anche il sistema nervoso centrale controlla il battito del cuore (fonte: gremlin, iStock)

Redazione Ansa

A controllare i battiti del cuore è il sistema nervoso autonomo, ma anche il cervello può avere la sua parte, lo sanno bene i sub che praticano l’apnea. Grazie al lavoro pubblicato su Science da Airi Yoshimoto, dell’Università di Tokyo, diventa  possibile studiare i circuiti cerebrali che controllano il ritmo del cuore anche sui ratti e sviluppare così nuove terapie per trattare ad esempio aritmie, dolori o ansia.

Sebbene la frequenza cardiaca sia controllata prevalentemente dal sistema nervoso autonomo, è noto che può essere alterata intenzionalmente attraverso l’allenamento. Attività di rilassamento, meditazione e respirazione possono portare un umano a rallentare notevolmente il battito per ridurre l’attività del corpo e riuscire a rimanere per diversi minuti senza respirare.

Queste procedure possono avere importanti applicazioni per il trattamento senza uso di farmaci per vari disturbi cardiaci come le aritmie, trattamenti contro il dolore, oppure per il controllo dell’ansia o della depressione. Tuttavia è ancora poco noto che cosa avvenga a livello di circuiti neurali. Proprio per fare luce in questi meccanismi i ricercatori giapponesi hanno sviluppato un modello di studio sperimentale usando dei ratti.

Stimolando alcune regioni del cervello, in particolare la neocorteccia e il proencefalo mediale, i ricercatori hanno osservato che i ratti imparano a ridurre la frequenza cardiaca entro 30 minuti e hanno ottenuto una riduzione della frequenza cardiaca di circa il 50% dopo cinque giorni di allenamento. In questo modo hanno verificato che a indurre la bradicardia, il ritmo cardiaco più lento, è un circuito neurale che si sviluppa a partire dalla corteccia cingolata anteriore fino ai cosiddetti neuroni parasimpatici postgangliari nel cuore. Un lavoro che potrà aiutare notevolmente a nuovi studi in laboratorio che potranno usare i ratti come modello di studio di un fenomeno finora impossibile da replicare su modelli animali.

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