Grazie all’analisi a tappeto del genoma di oltre 800mila individui, 130mila dei quali malati e più di 730mila sani, sono stati scoperti 6 geni le cui varianti sono associate al rischio di sviluppare un tumore nel corso della propria vita. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, si deve al gruppo di ricerca guidato dall’azienda biofarmaceutica islandese deCode genetics, filiale della multinazionale americana Amgen. Lo studio rivela nuovi meccanismi biologici coinvolti nella predisposizione al cancro che, in futuro, potrebbero portare a migliori strategie di diagnosi precoce e trattamenti mirati.
I ricercatori guidati da Erna Ivarsdottir hanno passato in rassegna un’enorme quantità di dati genetici di individui provenienti da Islanda, Norvegia e Regno Unito, confrontandola poi con 22 diverse tipologie di tumore, In questo modo hanno trovato 4 geni che aumentano il rischio di sviluppare il cancro e 2 che invece lo riducono.
In particolare, i primi 4 sono il gene BIK legato al tumore alla prostata, ATG12 per il tumore del colon-retto, TG per quello della tiroide e CMTR2 che risulta legato sia al tumore del polmone sia al più aggressivo tumore della pelle, il melanoma. L’aumento del rischio dovuto alla presenza di varianti in questi geni risulta significativo poichè p compreso fra il 90% e il 295%, ma gli autori dello studio sottolineano che il metodo da loro utilizzato non consente, in realtà, una valutazione accurata del rischio di sviluppare il cancro nel corso della vita.
Le 2 varianti protettive, invece, sono quelle dei gene AURKB, la cui perdita fa ridurre il rischio per qualsiasi forma di tumore, e PPP1R15A, che è associato ad una probabilità di ammalarsi di tumore al seno inferiore del 53%. Ciò suggerisce che l’inibizione di quest’ultimo gene potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica per il cancro al seno.
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