Appartengono a una donna chiamata Zlatì kůň, vissuta nell'attuale Repubblica Ceca, e ad almeno sei individui, tre maschi e tre femmine, provenienti dalla città di Ranis in Germania, i più antichi genomi umani finora noti: risalgono a circa 45mila anni fa. Lo indica la mappa di questo prezioso patrimonio genetico, che racconta il primo incontro tra Neanderthal e Sapiens, avvenuto in Europa e le cui tracce sono ancora presenti nel Dna di tutte le popolazioni non africane.
Secondo i nuovi dati, il primo incrocio è avvenuto tra 49mila e 45mila anni fa, ed è proseguito per circa 7mila anni. L'importante risultato è stato pubblicato in due studi correlati: il primo sulla rivista Nature, guidato dal tedesco Max Planck Institute per l'Antropologia evolutiva di Lipsia; il secondo sulla rivista Science, coordinato dallo stesso istituto del Max Planck e dall'Università della California a Berkeley.
Analizzando il Dna proveniente da questi primi abitanti del continente europeo, i ricercatori guidati da Arev Sümer dell'Istituto tedesco hanno scoperto che facevano parte dello stesso gruppo, il quale però non ha lasciato discendenti tra le popolazioni attuali. "Con nostra sorpresa - dice Sümer - abbiamo trovato una parentela genetica di quinto o sesto grado tra Zlatì kůň e due individui di Ranis". Gli autori della ricerca hanno inoltre evidenziato una stretta parentela tra i sei individui di Ranis, dei quali faceva parte un gruppo formato da madre e figlia con due bambini.
Tutti e sette gli individui avevano la pelle di colore scuro, così come capelli e occhi, tratti che riflettono la recente origine africana di questa prima popolazione europea. L'ascendenza neanderthaliana trovata in Zlatì kůň e nel gruppo di Ranis, invece, ha avuto origine dallo stesso antico evento di incrocio, datato tra 49mila e 45mila anni fa, circa 80 generazioni prima della nascita degli individui di Ranis.
Nello studio pubblicato su Science, i ricercatori guidati da Leonardo Iasi del Max Planck Institute e Manjusha Chintalapati dell'Università di Berkeley hanno esaminato i genomi di un insieme di circa 300 esseri umani moderni sia attuali che antichi di Europa e Asia, inclusi 59 individui vissuti tra 2mila e 45mila anni fa. L'analisi ha calcolato, per l'incontro con i nostri cugini estinti, una data di circa 47mila anni fa, dunque coerente con quella ottenuta con la ricerca pubblicata su Nature.
Ma, soprattutto, la ricerca ha permesso di studiare meglio quella porzione del Dna, circa l'1-2%, ereditata da quell'incrocio: la maggior parte dei geni presenti ancora oggi sono legati a funzioni immunitarie, alla pigmentazione della pelle e al metabolismo. Ad esempio, un gene lasciatoci dai Neanderthal risulta fondamentale per tutta una serie di processi metabolici, per la regolazione del sistema immunitario e per il mantenimento delle cellule staminali: la sua versione ancestrale è stata ricostruita recentemente grazie a una ricerca coordinata da Svante Pääbo, premio Nobel per la Medicina nel 2022. E fanno parte di quella eredità anche colore della pelle e dei capelli, forma del cranio, predisposizione a malattie come schizofrenia, Covid-19 e alla cosiddetta malattia dei Vichinghi. Sono neandertaliani anche i geni che modellano la forma del naso, come riporta uno studio del 2023, e che hanno permesso di adattarsi meglio ai climi più freddi.
Ma ci sono, nel nostro genoma, anche aree totalmente prive di geni provenienti dai nostri cugini estinti, chiamate per questo motivo 'deserti arcaici': i dati mostrano che queste aree si sono sviluppate rapidamente dopo che i due gruppi si sono incrociati, suggerendo che alcune varianti genetiche trasmesse dai Neanderthal fossero letali per i Sapiens e che quindi siano state eliminate molto velocemente. "Abbiamo visto che esseri umani moderni di circa 40mila anni fa contengono già questi deserti nel loro genoma - dice Iasi - quindi devono essersi formati molto presto dopo il flusso genico iniziale tra le due specie".