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Nei fondali degli oceani i minerali che producono ossigeno

Tramite reazioni chimiche, a 4mila metri di profondità

Redazione Ansa

Nei fondali degli oceani, alla profondità di 4mila metri, sono stati scoperti minerali in grado di produrre ossigeno. E' la prima volta che viene individuato ossigeno non generato da esseri viventi attraverso il processo della fotosintesi. La scoperta è pubblicata sulla rivista Nature Geoscience dal gruppo di Andrew Sweetman, dell'Associazione Scozzese per le Scienze marine, e obbliga a rivedere quanto si è sempre creduto sulla produzione dell'ossigeno. I ricercatori rilevano che questa scoperta spinge a proteggere questi ambienti, ancora quasi completamente sconosciuti ma a rischio a causa delle estrazioni minerarie sottomarine.

"Abbiamo sempre dato per scontato che l'ossigeno presente sul nostro pianeta sia prodotto esclusivamente dalla fotosintesi ma in questi ultimi 7-8 anni stiamo scoprendo che non è così", ha detto all'ANSA il microbiologo Donato Giovannelli, dell'Università Federico II di Napoli.

Facendo delle analisi lungo una vasta regione della dorsale oceanica del Pacifico gli autori della ricerca hanno scoperto che nelle profondità marine possono avvenire particolari reazioni che portano al rilascio di ossigeno. Il fenomeno è dovuto alla presenza di alcuni depositi minerali molto particolari, detti noduli polimetallici, che, come una sorta di batteria naturale, generano una piccola tensione di corrente, simile a una batteria a 1,5 V. La corrente prodotta è in grado di scindere le molecole di acqua, separando idrogeno da ossigeno che si disperdono nel mare.

"Stiamo scoprendo che esistono varie fonti di ossigeno sul pianeta, non sappiamo ancora quanto siano rilevanti, quanto ne producano e che impatto abbiano avuto sul passato del pianeta e sulla diffusione della vita, ma certamente sono scoperte che obbligano a rivedere alcune cose che ritenevamo come assunti", ha osservato Giovannelli. "In questo caso mi pare molto interessante - ha proseguito - che la reazione avvenga proprio con gli stessi metalli che troviamo anche in biologia, all'interno delle cellule. Di fatto è un meccanismo molto simile".

Alla profondità di 4mila metri, la stessa alla quale è avvenuta la scoperta, sta interessando molte aziende minerarie che spesso lavorando in modo invasivo, con il rischio concreto di devastarne gli equilibri. "Un settore in espansione sui cui rischi c'è stato troppo poco dibattito. Sappiamo pochissimo di questi ecosistemi - ha concluso Giovannelli - e con le attività estrattive rischiamo di perderli ancor prima di conoscerli".

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