Il tallone d’Achille dell’Intelligenza Artificiale (IA) applicata alla medicina non sono gli algoritmi, ma l’accesso a dati strutturati e omogenei. A poco più di 5 anni da Xiaoyi, il primo robot capace di superare in Cina l’esame per l’abilitazione da medico, le IA applicate alla medicina ‘zoppicano’ ancora e la causa, osserva Andrea Cavalli, vic direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), è la mancanza di una piattaforma comune tra mondo medico e informatico.
A riprendere il tema sugli obiettivi disattesi dell’applicazione delle IA in ambito medico sono due recenti articoli pubblicati sulla rivista British Medical Journal (Bmj), nei quali si ricorda come nel 2016 uno dei padri delle tecniche di deep learning, Geoffrey Hinton, affermava: “dovremmo smettere di formare radiologi. È evidente che entro cinque anni il deep learning farà meglio dei radiologi”.
Le IA negli anni hanno fatto grandi progressi e dato importanti contributi nell’ambito medico, ma sono ad oggi strumenti che non possono certo sostituire l’attività umana. “Sono strumenti che aiutano molto, che offrono un grande valore aggiunto, ma certamente la frase di Hinton attualmente non trova riscontro nella pratica medica”, ha commentato Cavalli.
Ad aver limitato in questi anni la crescita delle IA non sono stati i miglioramenti tecnologici, ma questioni ‘burocratiche’. Le IA sono dei potentissimi strumenti capaci di analizzare ed estrarre informazioni importanti dai dati, ma se questi sono scarsi o difficili da analizzare, le IA non possono lavorare: se in pasto hanno dati ‘spazzatura’, producono risultati ‘spazzatura’. “Ad oggi i dati sanitari sono il tallone d’Achille – ha proseguito Cavalli – basta vedere i fascicoli sanitari elettronici. Sono dati poco strutturati e soprattutto troppo eterogenei, abbiamo un sistema sanitario che dovrebbe essere la fonte dei dati troppo frammentato. Ma non si tratta di un problema solo italiano: è così anche nel resto del mondo”. Senza dati, le IA non hanno carburante, dunque, per ottenere reali progressi esiste una sola soluzione: “dati, dati, dati”, ha concluso Cavalli.