Esistono cose che si possono misurare in modo oggettivo e altro no, il dolore fa parte di questa seconda categoria. O forse no? Un concetto brillantemente sintetizzato nel gioco di parole che dà il titolo a ‘Il Male detto.
Quando parliamo di dolore, ad esempio descrivere un dolore fisico a un’altra persona che non lo ha mai provato, si sbatte quasi sempre in impossibilità comunicativa: raccontare il dolore, e spesso anche solo ricordarlo in modo vivido, è un’impresa quasi impossibile. Nel suo viaggio nel ‘male’ Roberta Fulci parte da quello che per molti non rappresenta altro che un piacere, un semplice sorso di acqua frizzante: “Quella sensazione sulla lingua e sul palato, che quando l’acqua è come piace a me, frizzantissima, è un po’ come ficcarsi in bocca un puntaspilli, be’, non ho dubbi: è un dolore. Bello, ma un dolore”.
Come si spiega il dolore fisico a chi non l’ha mai provato? Si può misurare il dolore? In passato era vissuto diversamente? La nostra idea di dolore cambia con l’esperienza, l’ambiente e la cultura? Ma soprattutto, che cosa chiamiamo dolore? Sono alcune delle tantissime domande a cui l’autrice cerca di dare risposte chiamando in causa decine di storie di ricerca, esperimenti folli come quello di Justin Schmidt che ha voluto sperimentare sulla propria pelle centinaia di punture di insetto per classificarne il dolore, aneddoti e il contributo di tanti ricercatori come Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara. Una scrittura brillante e ironica che se non arriva a dare una risposta definitiva a molte delle domande sul ‘senso’ del dolore portano il lettore a guardare con occhi nuovi una delle sensazioni più enigmatiche che caratterizza la nostra esistenza.
Il male detto. Ovvero dare forma a ciò che sfugge
La missione impossibile del raccontare il dolore