Le aree liberate dal ritiro dei ghiacciai vengono occupate dalla vegetazione in due fasi: all'inizio si hanno poche specie di piante pioniere che colonizzano il suolo povero e instabile, poi a distanza di decenni avanzano nuove piante che sostituiscono le pioniere. Lo dimostra lo studio di 46 ghiacciai in fase di ritiro in tutto il mondo, condotto dai ricercatori dell’Università Statale di Milano in collaborazione con colleghi di 13 Paesi. I risultati, utili a prevedere l'evoluzione degli ecosistemi, sono pubblicati su Nature Plants.
Per ogni ghiacciaio, i ricercatori hanno analizzato le aree lasciate libere dal ghiaccio negli ultimi secoli, confrontando siti in cui il ritiro è avvenuto recentemente (nell’ultimo decennio) con siti in cui è avvenuto diversi decenni fa. Dal confronto è emerso come le comunità di piante cambiano del tempo.
I risultati dimostrano che subito dopo il ritiro del ghiacciaio i suoli sono poveri e instabili e vengono colonizzati da poche piante pioniere. In questa fase prevale il meccanismo di addizione delle specie: le prime arrivate possono aiutare a stabilizzare il terreno, favorendo l’aggiunta di nuove specie. Il processo dura all'incirca una cinquantina di anni, dopodiché entra in gioco un nuovo meccanismo, la sostituzione delle specie: il suolo, diventato abbastanza ricco e stabile, permette l’arrivo di specie più competitive che si stabiliscono, escludendo le specie pioniere e rimpiazzandole.
“Queste informazioni ci aiutano a capire come evolveranno i nuovi ecosistemi, sempre più ampi, che si stanno formando in montagna e nelle aree intorno ai poli in conseguenza del ritiro dei ghiacciai”, commenta Francesco Ficetola, coordinatore dello studio ed esperto di biodiversità dell’Università Statale di Milano.
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