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Legal tech e privacy engineer, ecco i nuovi lavori che nascono dall'IA

In Italia un piano da 4 miliardi, ma 1 italiano su 2 non è pronto

Intelligenza Artificiale, la Strategia italiana 'vale' 4 miliardi (fonte: Pixabay)

Redazione Ansa

Dal 'legal tech' al 'privacy engineer', la diffusione dell'Intelligenza Artificiale è destinata a lasciare un segno nel mondo del lavoro, con una trasformazione diffusa delle competenze che porterà all'emergere di nuove figure professionali. L'impatto maggiore non investirà i lavori manuali, colpiti dall'avvento della robotica e dell'automazione, bensì quelli che richiedono competenze intellettuali e comunicative. È il quadro tratteggiato dal Rapporto dell'Associazione Italiana per la Ricerca Industriale presentato a Roma, nell'ambito della Giornata per l'Innovazione Industriale.
    Più della metà degli italiani, priva delle competenze digitali adeguate, non è però pronta a questo cambiamento, che il governo italiano intende accompagnare grazie alla Strategia Italiana per l'Intelligenza Artificiale 2024-26: il piano prevede di mobilitare 4 miliardi di euro tra investimenti pubblici e privati, per incentivare sviluppi e applicazioni innovative.

"L'impatto della scienza e della tecnologia nella nostra vita è sempre più complesso, ma la ricerca e l'innovazione sono un motore di sviluppo per tutto il Paese", afferma Anna Maria Bernini, ministro dell'Università e della Ricerca.
"L'Intelligenza Artificiale sta trasformando il panorama produttivo delle imprese italiane", aggiunge Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy: "Servono agevolazioni e rafforzamento delle competenze per creare una nuova forza lavoro capace di trainare la trasformazione digitale". Diana Bracco, presidente e amministratore delegato del Gruppo Bracco, sottolinea la necessità di un aumento delle risorse disponibili: "la ricerca e l'innovazione si fanno con risorse economiche adeguate, con tempi sicuri ed efficienza nella gestione".

Il settore della ricerca e dell'innovazione sarà uno di quelli maggiormente coinvolti dall'avvento delle nuove professioni. Tra queste, ad esempio, il cosiddetto 'IA ethicist', che si occuperà di valutare e garantire l'etica, la legalità e la responsabilità dei contenuti generati dall'IA, o il 'manager di infrastrutture IT', che dovrà gestire in maniera integrata reti di comunicazione e risorse di calcolo. Emergerà anche la figura dello 'IA developer', il professionista che si occuperà di progettare e sviluppare gli algoritmi e i sistemi alla base dell'IA, il 'consulente legal tech', avvocato specializzato nel diritto delle nuove tecnologie, e il 'privacy engineer', per progettare e implementare soluzioni tecnologiche rispettose delle norme sulla privacy.

L'Europa, come evidenzia il rapporto dell'Airi, si trova però in una posizione di forte svantaggio, con l'Italia che purtroppo occupa spesso quella del fanalino di coda. È il caso delle startup attive nel campo dell'IA: il nostro Paese vede appena 0,68 startup per milione di abitanti, a fronte di valori di 1,99 e 2,05 rispettivamente per Germania e Francia. I numeri evidenziano la necessità di forti investimenti, nonostante il panorama delle startup italiane che lavorano con l'IA stia già attraversando una fase di rapida evoluzione.

L'Italia resta ultima in Europa anche per quanto riguarda il numero di laureati nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, le cosiddette Ict: tale mancanza di competenze rappresenta uno dei motivi principali per la scarsa implementazione dell'IA nelle imprese e nelle amministrazioni pubbliche.

Secondo il rapporto dell'Airi, per colmare tale divario bisogna partire dall'offerta formativa delle università e dal costante aggiornamento delle competenze all'interno delle aziende. Le iniziative che già coinvolgono da qualche anno diversi atenei non sono ancora sufficienti: per questo sarà necessario un piano straordinario di assunzioni per università, enti di ricerca e imprese. Senza tralasciare l'importanza del giusto mix tra 'open source' e 'closed source': Airi sostiene, infatti, che ciò consentirà di trovare la giusta via di mezzo tra accessibilità a dati e strumenti e salvaguardia del ritorno economico degli investimenti fatti.

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