Le rare cicatrici del pianeta nano Plutone e della più grande delle sue cinque lune, Caronte, aprono uno scenario nuovo sui confini del Sistema Solare. Indicano, infatti, che sono meno popolati di quanto si pensasse e che molti dei piccoli corpi ghiacciati che li abitano non sono nati da collisioni, ma risalgono alle origini del nostro sistema planetario. Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Science dal gruppo della missione New Horizons della Nasa, che comprende diverse università e centri americani coordinati dall’Istituto di ricerca sudoccidentale di Boulder, in Colorado.
Il pianeta nano Plutone fotografato dalla missione New Horizons, con al centro l’enorme cratere a forma di cuore, il ghiacciaio Sputnik Planum (fonte: NASA/JHUAPL/SwRI)
Analizzando le immagini scattate nel 2015 dalla sonda New Horizons durante i suoi incontri ravvicinati con Plutone e Caronte, gli autori della ricerca hanno mappato le cicatrici causate da antichi impatti sui due corpi celesti, ‘rughe’ vecchie di circa 4 miliardi di anni.
Dalle loro caratteristiche hanno così potuto ottenere, spiegano, “maggiori dettagli sulla formazione ed evoluzione della cosiddetta fascia di Kuiper”, la cintura ai confini del Sistema Solare che si estende dall’orbita di Nettuno fino a una distanza pari a circa 50 volte quella tra la Terra e il Sole. È da questa regione, infatti, che provengono molti dei corpi responsabili degli impatti.
“Dalle analisi di forma e dimensioni delle cicatrici di Plutone e Caronte - spiegano gli autori dello studio - possiamo studiare la distribuzione e le dimensioni degli oggetti più piccoli che abitano la fascia di Kuiper”. Si tratta di resti della formazione del Sistema Solare “con dimensioni inferiori a 100 chilometri, troppo piccoli per essere osservati direttamente dalla Terra”, aggiungono. “Uno degli aspetti più significativi è la mancanza di crateri inferiori a 13 chilometri, segno - concludono gli esperti - che nella fascia di Kuiper i corpi più piccoli di due chilometri sono meno numerosi del previsto, e che per la maggior parte non si sono formati in seguito a collisioni”.
Leggi l'articolo completo su ANSA.it