Scoprire tracce di vita su Marte sarà più difficile del previsto, perché gli strumenti per il rilevamento di tracce biologiche già presenti sul pianeta o in fase di progettazione potrebbero non essere abbastanza sensibili: per avere una risposta bisognerà dunque attendere l’arrivo sulla Terra dei campioni raccolti dal rover Perseverance. E' questa la conclusione di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications da un team internazionale a cui ha preso parte anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
I ricercatori hanno messo alla prova gli strumenti di indagine delle missioni marziane analizzando campioni raccolti in uno dei luoghi più aridi del nostro pianeta, Piedra Roja in Cile. Si tratta di un ventaglio alluvionale formatosi in condizioni aride nel deserto di Atacama circa 160-100 milioni di anni fa e geologicamente analogo al cratere Jezero su Marte dove si trova il rover Perseverance.
“Ci siamo occupati in particolare dell’analisi dei campioni utilizzando la tecnica di spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier di riflettanza diffusa", spiega Teresa Fornaro dell’Inaf di Firenze. "Questo ci ha permesso di analizzare i campioni in modo analogo a strumenti a bordo di missioni marziane, come lo strumento SuperCam del rover Perseverance e lo strumento MicrOmega che volerà sulla futura missione ExoMars Rosalind Franklin dell'Agenzia spaziale europea (Esa). Le nostre analisi hanno confermato la composizione mineralogica di queste rocce, ma la rivelazione di composti organici è stata possibile principalmente nella regione spettrale del medio infrarosso che non corrisponde a quella investigata dagli strumenti SuperCam e MicrOmega. La capacità quindi di questi strumenti di rivelare organici su Marte in concentrazioni basse come quelle di Piedra Roja è limitata”.
Dall’analisi del Dna dei microrganismi presenti nelle rocce del deserto cileno è emerso un dato particolarmente interessante: circa il 9% è risultato non classificabile, mentre a circa il 41% è stato possibile assegnare solo il dominio o al massimo l’ordine, mettendo in evidenza che non sono chiare le relazioni di parentela evolutiva rispetto agli organismi terrestri noti. Si ritiene possano essere specie viventi che non sono ancora state individuate altrove sulla Terra, o in alternativa comunità superstiti di specie microbiche che un tempo abitavano il delta del fiume, delle quali però non sono conosciute specie parenti attualmente esistenti.
"La regione in cui sono stati fatti questi prelievi - sottolinea John Brucato, astrobiologo dell’Inaf di Arcetri e tra i firmatari dell’articolo - è il deserto più arido in assoluto che si possa trovare sulla Terra e questi microorganismi sembrano essere davvero peculiari e molto diversi da tutti gli altri conosciuti finora, se consideriamo che la quantità di microorganismi è talmente elevata che se ne scoprono continuamente di diversi. In questo caso, si tratta di una classe veramente nuova che ha permesso di capire la loro adattabilità in condizioni estreme che le può far considerare simili a quelle marziane".
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