Sei galassie giganti nell’universo primordiale, formatesi quando aveva solo 500-700 milioni di anni, stanno portando scompiglio tra i ricercatori, mettendo in crisi le teorie attuali sulla loro formazione e sull’origine dell’universo: il responsabile di questo inaspettato viaggio indietro nel tempo è il telescopio spaziale James Webb (Jwst), che le ha scoperte grazie alle sue prime osservazioni fatte con i suoi ‘occhi’ sensibili all’infrarosso. I dati, nature.com/articles/s41586-023-05786-2">pubblicati sulla rivista Nature da un gruppo di ricercatori guidati dall’Università tecnologica di Swinburne, in Australia, indicano che la quantità di massa rilevata è circa 100 volte maggiore di quella che ci si aspettava, una differenza che rimarrebbe impressionante anche se alcuni degli oggetti individuati dovessero rivelarsi meno antichi di quanto appaiono o di diversa natura.
“Questi oggetti sono molto più massicci di quanto ci si aspettasse”, commenta Joel Leja dell’Università statale della Pennsylvania e co-autore dello studio guidato da Ivo Labbé: una delle galassie, infatti, potrebbe avere addirittura una massa che è 100 miliardi di volte quella del nostro Sole. “Nell’universo così giovane pensavamo di trovare solo minuscole baby-galassie, mentre quelle individuate sono già mature quanto la nostra Via Lattea”. Leja, però, sottolinea che in questa fase è importante mantenere una mente aperta: “I dati indicano che probabilmente si tratta di galassie – dice il ricercatore – ma penso che ci sia una reale possibilità che alcuni di questi oggetti si rivelino essere buchi neri supermassicci oscurati”.
Secondo gli autori dello studio, per confermare la scoperta saranno necessarie osservazioni che misurino, oltre allo spettro visibile (che comprende l’infrarosso sfruttato da Webb), anche le onde radio ed i raggi X emesse dagli oggetti: queste immagini, infatti, permetterebbero di fornire dati più accurati sulle reali distanze alle quali si trovano le galassie e sugli elementi che le compongono. “Questo ci direbbe immediatamente se questi oggetti sono reali – aggiunge Leja – e quanto sono grandi”.
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