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Da un buco nero getti lunghi 140 volte la Via Lattea VIDEO

E' accaduto 6,3 miliardi di anni fa,in una galassia lontanissima

Rappresentazione artistica del più lungo sistema di getti del buco nero mai visto (fonte: E. Wernquist / D. Nelson (IllustrisTNG Collaboration) / M. Oei)

Redazione Ansa

Gli astrofisici che da tempo studiano i buchi neri non si aspettavano di vedere niente del genere: un buco nero supermassiccio che dal cuore di una galassia lontanissima scaglia via getti di plasma lunghi 23 milioni di anni luce, vale a dire 140 volte la Via Lattea. Tanto da essere stato chiamato Porfirio, come uno dei giganti della mitologia greca. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, suggerisce che i buchi neri possano avere avuto un ruolo molto più importante del previsto nella formazione delle prime galassie. La ricerca è stata coordinata da Martijn Oei, del California Institute of Technology, ha utilizzato le immagini del radiotelescopio europeo Lofar e per l’Italia ha partecipato l’Istituto Nazionale di Astrofisica con Francesco de Gasperin e Andrea Botteon.

 

 

 

Il buco nero si è formato quando l’universo aveva 6,3 miliardi di anni, ossia meno della metà della sua età attuale di 13,8 miliardi di anni, in un’epoca in cui i sottili filamenti che collegano e alimentano le galassie, noti come ragnatela cosmica, erano molto più vicini tra loro rispetto a oggi. Ciò significa che enormi getti come quelli di Porfirio raggiungevano una parte molto vasta della ragnatela cosmica. I getti dei buchi neri “influenzano la crescita delle galassie che li ospitano e di altre galassie vicine”, osserva il coautore della ricerca George Djorgovski, anche lui del Caltech. “Questa scoperta – aggiunge - dimostra che i loro effetti possono estendersi molto più lontano di quanto pensassimo”.

Il getto di plasma Porfirio è il più grande dei 10mila scoperti nella ricerca e strappa il record ad Alcione, anche questo chiamato come uno dei giganti mitologici, lungo circa 100 volte la Via Lattea e scoperto nel 2022 dallo stesso gruppo del Caltech.  “Non avevamo idea che fossero così numerosi”, dice un altro autore dello studio, Martin Hardcastle dell’Università dell’Hertfordshire, in Gran Bretagna. Ma è solo “la punta dell’iceberg, osserva Oei, considerando che il radiotelescopio Lofar vede il 15% del cielo. La scommessa è adesso andare a cercare altre strutture simili e capire in che modo i giganteschi getti dei buchi neri influenzino l’ambiente che li circonda.

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