Capire se un terremoto è l'annuncio di un evento ancora più violento, o se è già la scossa principale, e sarà quindi seguito da eventi di intensità minore: ad ora, riuscire a prevedere tutto questo è impossibile, ma le cose potrebbero cambiare, grazie a una sorta di 'semaforo' che ricorda quello finora utilizzato per le allerta sui vulcani o quello dei pronto soccorso. La proposta, davvero ricca di promesse, arriva dalla la ricerca pubblicata sulla rivista Nature e condotta da Laura Gulia e Stefan Wiemer, entrambi del Servizio Sismologico Svizzero presso il Politecnico di Zurigo.
Le analisi che hanno portato a elaborare la tecnica si sono basate in gran parte sulle sequenze sismiche del 2016 in Italia, ad Amatrice-Norcia, e in Giappone, a Kumamoto. Il punto di partenza dei ricercatori è stata l'analisi dei dati sui terremoti avvenuti in passato, alla luce del cosiddetto 'b value', ossia il valore che indica il rapporto tra il numero di terremoti grandi e piccoli in una sequenza sismica. "Abbiamo analizzato le sequenze mondiali disponibili - ha detto Gulia all'ANSA - e scoperto che, dopo il terremoto di magnitudo massima, questo valore cambia, in particolare, aumenta. Questa proprietà, comune a tutte le sequenze analizzate, è alla base del modello di previsione che abbiamo elaborato: quando, dopo un evento di magnitudo superiore a 6, il b value non aumenta, ma resta costante o addirittura diminuisce, un evento di magnitudo superiore deve ancora accadere".
Applicando il modello alla sequenza di Amatrice-Norcia del 2016, il 'semaforo dei terremoti' avrebbe dato un'allerta rossa dopo il 24 agosto (indicando così che l'evento di magnitudo maggiore doveva ancora avvenire) e un'allerta verde dopo il 30 ottobre, poiché la scossa di Norcia veniva classificata come l'evento principale della sequenza. "Se confermata, questa ricerca porterà a una svolta importante", ha rilevato il presidente dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Carlo Doglioni, commentando lo studio.
"L'analisi - ha aggiunto - potrebbe permettere di dire se il terremoto avviene prima o dopo la scossa principale". Per rendere operativo questo strumento, c'è ancora del lavoro da fare. La stessa Laura Gulia osserva che "naturalmente occorrerà continuare a testare il modello, che richiede una rete sismica ad alta densità per avere a disposizione dati omogenei e continui in un ampio range di magnitudo. Al momento - ha concluso - sono poche le aree della Terra con queste caratteristiche".
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