Le isole di plastica composte da rifiuti galleggianti in mare aperto cominciano a diventare habitat per alcuni animali marini che vivono normalmente sulle coste, tanto da aver dato vita a nuove forme di comunità ‘neopelagiche’. A dirlo è una campagna di studio nell’Oceano Pacifico guidata da Linsey Haram, del Centro di ricerca ambientale Smithsonian, i cui risultati sono stati nature.com/articles/s41559-023-01997-y">pubblicati sulla rivista Nature Ecology & Evolution.
Ormai in tutti i mari da anni esistono vere e proprie isole di rifiuti galleggianti, fatte soprattutto da plastica di ogni tipo e resti di reti da pesca, che possono essere anche molto estese e sono un pericolo per molti animali marini che possono rimanere intrappolati nei detriti oppure scambiarli per cibo. Ma nel tempo queste enormi ‘zattere’ continuamente rimodellate dalle onde e le correnti stanno diventando anche degli habitat per molte specie marine. Raccogliendo 105 campioni di detriti durante una campagna di studio fatta tra il 2018 e il 2019 nel Pacifico settentrionale i ricercatori americani hanno trovato la presenza, nel 70% dei detriti, di specie che vivono normalmente lungo le coste, in particolare piccoli artropodi e molluschi.
In totale i campionamenti hanno portato a identificare 484 organismi invertebrati marini sui detriti, di cui l'80% erano specie che si trovano normalmente negli habitat costieri e che sembrerebbero ormai adattati a questo nuovo ambiente. Gli oggetti preferiti sarebbero soprattutto le reti da pesca alla deriva e gli autori suggeriscono che queste comunità sarebbero in grado di riprodursi divenendo in qualche modo ormai stabili e dando vita a nuovi piccoli ecosistemi che possono essere definiti come ‘comunità neopelagiche’.