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I boschi italiani di faggi hanno imparato ad adattarsi al clima

Ma quelli del Sud sono più efficienti nell’utilizzo dell’acqua

Le faggete italiane mettono in atto strategie diverse per resistere a siccità e temperature elevate (fonte: Benedetta Bianco)

Redazione Ansa

I boschi italiani di faggi hanno imparato a adattarsi al clima che cambia, mettendo in atto strategie diverse per resistere a siccità e temperature elevate: lo indica lo studio com/articles/s41598-024-57293-7">pubblicato sulla rivista Scientific Reports e guidato dall’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo di Perugia e dall’Istituto per la Bioeconomia di Sesto Fiorentino, entrambi del Consiglio Nazionale delle Ricerche. L’analisi, condotta in collaborazione con l’Università della Campania Luigi Vanvitelli e con la Libera Università di Bolzano, evidenzia però che nelle regioni del Sud gli alberi sono più efficienti nell’utilizzo dell’acqua, mentre al Nord foreste in apparenza sane nascondono segnali precoci di stress.

I ricercatori guidati da Paulina Puchi, di Cnr-Isafom e Cnr-Ibe, hanno esaminato faggete sparse in tutta Italia durante un arco di tempo che va dal 1965 al 2014, valutando la loro risposta ai cambiamenti ambientali. “I risultati mettono in luce la diversità delle strategie di utilizzo dell’acqua impiegate dai boschi per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche – commenta Giovanna Battipaglia dell’Università Vanvitelli – così come la variabilità nella risposta alla siccità tra le diverse popolazioni analizzate”.

Tra i dati più significativi ci sono quelli che riguardano foreste che sembrano in buono stato di salute, ma nelle quali i ricercatori hanno rilevato segnali di stress a seguito di eventi climatici estremi, come la siccità del 2003: l’effetto più drastico è stato rilevato in Trentino-Alto Adige, dove si è osservata anche una maggiore riduzione della crescita degli alberi rispetto ad altri siti come Lazio, Campania e l’area del Matese (tra Campania e Molise). “Non solo: al Sud è stato evidenziato un aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua – afferma Daniela Dalmonech del Cnr-Isafom, una delle autrici dello studio – suggerendo una migliore risposta di adattamento di questi boschi alle condizioni ambientali più estreme”.

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