E’ stata vista per la prima volta la struttura interna della caldera dei Campi Flegrei, in modo da osservare il movimento del magma a una profondità maggiore: 6 chilometri contro i 4 che finora è stato possibile raggiungere con le tecniche di analisi tradizionali. Il risultato è stato ottenuto grazie alla ricerca condotta dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia con l’Università di Milano Bicocca e pubblicata sulla rivista Earth and Planetary Science Letters.
Per gli autori della ricerca “questo approccio può rivelarsi un utile strumento per monitorare nel tempo l’evoluzione del sistema di alimentazione magmatica della caldera” e adesso ai lavora per “estendere quanto prima il modello probabilistico anche agli anni successivi al 2022”
La tecnologia che permette ora di osservare la velocità dei movimenti della crosta terrestre fino alla profondità di sei chilometri si deve a una sorta di Tac, ossia una tomografia sismica in grado di lavorare in quattro dimensioni: le tre relative allo spazio e il tempo.
I dati emersi da queste osservazioni sono stati poi integrati con quelli relativi ai piccoli terremoti avvenuti ai Campi Flegrei nell’arco di quarant’anni, dal 1982 al 2022. In questo modo è stato possibile ricostruire nel tempo la variazione della velocità delle onde sismiche, ottenendo immagini dettagliate della struttura e del livello di fratturazione delle rocce della caldera. Sono state anche analizzate le caratteristiche del sistema di alimentazione del vulcano e l’attuale crisi bradisismica è stata confrontata con quella avvenuta fra il 1982 e il 1984.
I risultati mostrano che entrambe le crisi di bradisismo, pur coinvolgendo volumi differenti, sono state entrambe caratterizzate da episodi di risalita e di accumulo nella zona centrale prevalentemente di gas magmatici in sovrappressione e, in profondità, di magma: due processi importante nell’indurre la crisi.
Tutto questo è possibile perché il nuovo metodo permette di individuare le principali anomalie nella velocità avvenute nel tempo e, di conseguenza, l'evoluzione delle zone di accumulo di materiale magmatico. Sono state individuate così, per la prima volta, tre principali zone di accumulo del materiale magmatico in corrispondenza delle sorgenti delle deformazioni bradisismiche. Mentre i serbatoi centrali, localizzati a 2.5 e 3.5 chilometri di profondità, rivelano un accumulo prevalente di fluidi in sovrapressione, il serbatoio più profondo, localizzato a 5 chilometri di profondità, mostra valori di velocità coerenti con un accumulo di magma.
Leggi l'articolo completo su ANSA.it