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In cerca della forza invisibile che plasma il pianeta

Il racconto della campagna di campionamenti di CoEvolve alle Eolie

Redazione Ansa

Esiste una forza invisibile che da miliardi di anni trasforma il nostro pianeta: sono i miliardi di miliardi di microrganismi capaci di vivere in condizioni impossibili per gli esseri umani. Sono le prime e più importanti forme di vita della Terra. Per studiare la co-evoluzione tra forme di vita e pianeta prende il via la nuova campagna di campionamenti in uno dei luoghi in cui le forme di vita estreme sono di casa: i fondali delle isole Eolie.

E' un viaggio che seguiremo in diretta, passo dopo passo. Dal 22 al 26 giugno la squadra di ricercatori di Erc CoEvolve, il progetto finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca e coordinato da Donato Giovannelli dell’Università Federico II di Napoli, analizzerà circa venti siti estremi, come camini idrotermali e crateri vulcanici, per catalogare i microrganismi che ospitano.

“Quando parliamo di biodiversità pensiamo solitamente alla varietà degli animali e i colori delle piante, ma la più grande biodiversità - osserva Giovannelli – è quella dei microrganismi: un mondo che conosciamo ancora molto poco e che costituisce il cuore della forza geologica che cambia il pianeta”.

Forse meno spettacolare degli organismi complessi, la vita unicellulare ha da sempre modificato il pianeta, a partire dalla produzione dell'ossigeno che oggi respiriamo. “Non possiamo scindere il pianeta dalle forme di vita, sono due elementi in continua trasformazione e uno modifica l’altro. E' una co-evoluzione costante di cui però sappiamo ancora molto poco”, dice Giovannelli. Per capire più facilmente questa relazione, i luoghi ideali sono gli ambienti estremi, nei quali è possibile osservare dinamiche senza i disturbi dovuti alla presenza di altre forme di vita.

“Le Eolie, come in realtà molti altri siti in Italia, sono per noi un parco giochi perché sono ricche di micromondi estremi e finora studiati solo sotto il profilo geologico. Non sappiamo praticamente nulla delle comunità microbiche che vi vivono”, osserva il ricercatore. “Dimentichiamo l’importanza che hanno questi micromondi anche nel nostro quotidiano, ma sono fondamentali. Per esempio- conclude - per la ricerca medica e terapie anticancro o per la genetica, o ancota per la ricerca di bioplastiche o di nuove fonti di energia pulita”. 

Giorno 5 – Arrivederci Eolie, prossimo obiettivo Islanda

Vulcano in questi giorni è stato un hot spot della ricerca, almeno 300 tra studenti e ricercatori erano sull’isola per frequentare vari workshop e scuole, era facile vedere in giro rover subacquei così come robot quadrupedi testati sulle pendici del cratere. Ma il nostro tempo è scaduto, partiamo. Nel frattempo, a ricordare anche ai non isolani che qui alle Eolie il pianeta batte, lo Stromboli da ieri ha ripreso un’intensa attività, tanto da far scattare l’allerta arancione. Mattinata passata a finire di ripulire i materiali usati in questi giorni, sistemare il tutto nelle casse, riprendere i campioni congelati conservati nei freezer e ripartire. Il viaggio di ritorno è lungo: prima un traghetto per Milazzo, trasferimento in navetta per Catania e da qui aereo per Napoli dove si scaricherà tutto il materiale entro sera. Niente soste perché domani il gruppo dovrà essere a Cortona per un convegno di microbiologia.

Sul traghetto per Milazzo si lavora a sistemare parte dei dati raccolti e incontriamo un altro gruppo di ricercatori molto interessante, una squadra composta da un medico di ambienti estremi insieme a due responsabili di Sea Shepard che ha lavorato in questi giorni a Vulcano per raccogliere le ghost net, i frammenti di reti da pesca abbandonati in mare che si trasformano spesso in terribili trappole per la fauna marina.

Arrivati a Catania ci separiamo, saluto il super team di Donato Giovannelli: Flavia Migliaccio, Martina Cascone, Sara Diana, e Jacopo Brusca. Mi mancherà la loro energia e l’entusiasmo, ogni campione è stato occasione di risate e divertimento. E, ovviamente, di scoperta! Io torno a casa ma Giovannelli e i suoi ricercatori e ricercatrici non si fermeranno, tra pochi giorni si riparte in missione in Islanda, con immersioni tra i camini idrotermali sottomarini, e subito dopo il New Mexico per poi proseguire in Nuova Zelanda. Sempre per campionare l’incredibile invisibile biodiversità che si cela negli ambienti estremi.

Giorno 4 – Missione ‘transetto’, dal caldo al freddo

Ultima giornata di campionamenti, tutta dedicata a Vulcano. L’obiettivo in particolare è quello di realizzare un ‘transetto’, ossia una serie di campionamenti che possano offrire una sorta di spaccato della situazione che si genera in profondità, in questo caso ci interessa mappare pozzi d’acqua lungo una linea ideale a partire dalla base del vulcano e che si allontana verso il mare.

Partiamo da un primo pozzo a pochi passi da cui parte il sentiero di ascesa al cratere. E’ piuttosto profondo, circa 35 metri e per prendere l’acqua dobbiamo calare un bailer, una sorta di tubo che si chiude da solo appena lo si tira su. Appena risale si capisce che l’acqua qui è davvero molto calda, all’incirca 80 gradi: il bailer si è deformato a causa del calore, bisogna essere molto attenti a maneggiare il campione perché si rischia l’ustione.

Impossibile dire se ci siano microrganismi all’interno, è probabile ma questo lo sapremo solo dopo le indagini in laboratorio; intanto possiamo portare avanti solo analisi chimiche e fisiche.

Ci spostiamo di qualche centinaio di metri e campioniamo il pozzo nel giardino di una casa, la temperatura scende di diverse decine di gradi.

Ci spostiamo poi nel giardino di un hotel e poi ancora un secondo hotel questa volta a pochi passi dal mare. E’ l’ultimo campione dell’intera campagna.
Torniamo a casa verso le 17 e si iniziano a preparare le valige. Domani si parte con un prezioso carico: una raccolta sistematica mai fatta prima delle forme di vita di molti degli ambienti estremi delle Eolie. Ma prima di prendere il traghetto per Milazzo faremo il punto di quanto fatto in questi giorni.

Giorno 3 - La prima volta di Lipari

Non esistono campionamenti di microbiologia finora pubblicati sui siti di Lipari e l’obiettivo di oggi è riempire, almeno in parte, questo vuoto. Lo facciamo prendendo l’aliscafo delle 7:50, pochi minuti e arriviamo al porto, dove ad attenderci c’è un’auto che ci porta in un sito incredibile, le Terme di san Calogero.

E’ un impianto termale tristemente in disuso che era sorto pochi decenni fa integrando al suo interno delle vasche realizzate in epoca romana che a loro volta avevano integrato strutture molto più antiche. Un cartello afferma siano le più antiche terme del Mediterraneo, risalenti addirittura a circa 3.500 anni fa. L’acqua calda arriva da uno stretto e lungo canale in cui è impossibile penetrare se non per pochi passi. La temperatura misurata è di 50 gradi ma sicuramente all’origine è molto più alta, probabilmente è acqua piovana che si infiltra nel terreno fino a qualche centinaio di metri, dove trova una gran quantità di calore.

Il canale è ricco di concrezioni bianche e apparentemente qualche specie batterica di cui sapremo di più solo tra qualche settimana dopo le analisi genetiche. Dopo circa due ore, tra Sole e scrosci di pioggia iniziamo a spostarci verso un altro sito ma scopriamo, dopo aver sentito alcuni colleghi, essere secco, mentre un terzo sito in lista, ci dicono esperti dell’isola, è impossibile da raggiungere a causa della vegetazione.

Notizie che ci obbligano a cambiare i programmi e senza perdere troppo tempo si decide di tornare alla base, a Vulcano, dove possiamo invece anticipare i lavori previsti per domani. Inizio a capire perché identificare siti di interesse non sia facile e soprattutto capisco quanto sia complesso il lavoro di campionamento sul campo. Le analisi richiedono non meno di 1 ora per ogni sito ed esiste un’incredibile varietà di imprevisti che si possono incontrare, siti completamente differenti l’uno dall’altro, e ovviamente errori umani, apparentemente insignificanti, che possono mandare all’aria tutto il lavoro fatto.

Giorno 2 – L’enigmatico picco dell’idrogeno

Balza subito agli occhi il ribollio a pochi metri dal bagnasciuga: è una fuoriuscita di gas, principalmente anidride carbonica, che nel mare piatto solleva una schiuma bianca. Si scorgono poi tante altre fuoriuscite più piccole, distribuiti su una larga striscia che percorre l’intera spiaggia. A segnarne il confine è uno sperone roccioso con decine di bocche da cui escono i gas; alla base una larga e bassa vasca di fango e bolle. Oggi siamo qui a campionare ben 7 siti con l’obiettivo di analizzare gli anomali picchi di idrogeno che si riscontrano nell’area.

L’idrogeno gassoso, composto da due atomi del più leggero degli elementi, è forse alla base di ecosistemi ancora tutti da comprendere. Può essere rilasciato dal terreno, ma è anche in gran parte prodotto da batteri estremofili e nello stesso tempo è anche cibo, o meglio energia, di molti altri batteri. E’ oggetto di scambi continui all’interno di ecosistemi che, se ben compresi, potrebbero avere importanti ricadute, tra cui una molto pratica: energia pulita. Infatti, batteri produttori di idrogeno potrebbero essere utilizzati per produrre energia senza rilascio di CO2.

Un'altra sfida è quella di riconoscere a caratterizzare i batteri che invece si cibano di idrogeno. Averne un identikit renderebbe molto più facilita l’identificazione di siti sotterranei, come i vecchi pozzi di gas naturale ormai vuoti, in cui poter stoccare grandi quantità di idrogeno, senza correre il rischio concreto che l’idrogeno divenga cibo per i batteri del terreno. Siti di questo tipo aprirebbero le porte al cosiddetto idrogeno verde, una sorta di riserva di energia sotto forma di idrogeno prodotto durante i picchi di produzione di solare o eolico.

Infine l’idrogeno bianco: mappare i batteri ‘mangiatori di idrogeno’ permetterebbe, per esclusione, di trovare più facilmente giacimenti sotterranei di idrogeno, in tutto e per tutto simili a quelli di petrolio ma con la differenza di non alimentare l’emissione di CO2 nell’atmosfera.

 

Video I picchi di idrogeno a Vulcano (fonte: Leonardo De Cosmo)

 

Giorno 1 – A Stromboli la raccolta dei primi campioni

Prima tappa Stromboli, forse la più iconica delle isole Eolie. Siamo partiti la mattina presto dalla nostra base a Vulcano per arrivare qui dopo una traversata di 2 ore, l’obiettivo è stato raccogliere campioni in due siti dell’isola, due pozzi realizzati nel tempo da residenti per usi agricoli o termali. Nel concreto si è trattato di intercettare l’acqua che fuoriesce a circa 40 gradi da pozzi che si trovano a una ventina di metri nel sottosuolo, determinarne alcuni parametri chimico-fisici, come temperatura, acidità e presenza di ferro, e parallelamente raccogliere i microrganismi usando dei filtri.

I campioni saranno analizzato in seguito, nei laboratori di microbiologia, una volta tornati a Napoli. Le analisi che permetteranno di censire la popolazione microbica presente. Piccoli ecosistemi di cui finora non conosciamo nulla, o quasi, perché solo da pochi anni è possibile fare analisi di Dna ambientale in modo diffuso, analizzando in modo sistematico decine di siti.

Uno degli obiettivi finali del gruppo di ricerca di Donato Giovannelli e della squadra del progetto Erc CoEvolve è realizzare un vasto catalogo che comprende numerosi siti in tutto il mondo; dall'Italia con le Eolie e la Toscana, alla Groenlandia e al Cile passando dagli abissi oceanici. USi punta in questo modod a ottenere la mappa degli invisibili abitanti dei luoghi estremi per studiare il loro rapporto con l’ambiente. Un dialogo, questo, finora mai ascoltato e che potrebbe rivelarsi fonte di grandi sorprese scientifiche.

 

Video Stromboli, comincia la raccolta dei campioni dei microrganismi che amano la vita estrema (fonte: Leonardo De Cosmo)

 

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