"Tutta la Terra sta vibrando", dissero gli esperti dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia la mattina del 26 dicembre 2004, quando al largo di Sumatra avvenne terremoto di magnitudo 9,2, il più violento di questo secolo, il più violento finora registrato in Asia e uno dei più intensi mai registrati al mondo dopo quello di magnitudo 9,5, che colpì il Cile nel 1960 e quello di magnitudo 9,2 avvenuto nel 1962 in Alaska.
Il 26 dicembre 2004 in pochi minuti la crosta terrestre si aprì di alcuni metri fra la placca Indiana e quella di Burma e si generò una faglia lunga 1.200 chilometri, come dalla punta più estrema della Sicilia al Brennero. Seguì uno tsunami devastante, con un muro d'acqua alto fino a 30 metri che nell'arco di 15 minuti raggiunse l'India, lo Sri Lanka e l'Africa. Le vittime furono circa 250mila. Il Centro tsunami dell'Ingv ha ricostruito quell'evento drammatico in una story map.
"Allora non esisteva un sistema di allerta rapida nell'oceano Indiano", dice all'ANSA Alessandro Amato, direttore del Centro Tsunami dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e coordinatore del Centro intergovernativo di allerta per l'Atlantico del Nord Est e il Mediterraneo varato dalla Intergovernmental Oceanographic Commission dell'Unesco. "Non c'era una consapevolezza del rischio. C'erano precedenti, ma non erano abbastanza da tenere alta l'attenzione".
L'unica eccezione, aggiunge l'esperto fu l'isola Simeulue, a nord-ovest di Sumatra, "dove dall'inizio del '900 una canzone tramandava di generazione in generazione la storia di uno tsunami e invitava a scappare via dalla costa in caso di terremoto".
La consapevolezza era poca anche a livello internazionale, tanto che a partire dal secondo dopoguerra, nell'arco di 50 anni gli unici sistemi di allerta ad essere organizzati erano stati quelli del Pacifico, con il Pacific Tsunami Warning Center che ha il centro operativo alle Hawai, e quello del Giappone.
Adesso molte cose sono cambiate: "il sistema di allerta voluto dal Comitato Intergovernativo dell'Unesco è attivo con quattro centri regionali": nel Pacifico, prima regione a organizzarsi in questo senso, nell'Oceano Indiano, nell'Atlantico occidentale e nell'Atlantico nord-orientale.
Un sistema di allerta come questo è un punto di arrivo importante, ma le sfide aperte sono ancora molte. "La più importante - osserva Amato - è arrivare a informare e a sensibilizzare le persone che vivono in zone a rischio". Finora "si è lavorato molto sulla tecnologia", ma adesso sarebbero necessarie campagne di informazione, con sistemi capillare di veicolazione dei messaggi.
Per esempio, molti Paesi hanno recepito o stanno recependo la direttiva europea che prevede sistemi di allerta anche per il rischio tsunami e in Italia, ha concluso l'esperto dell'Ingv, ci sarebbe la possibilità di veicolare le allerta direttamente sui telefoni cellulari tramite il sistema It-Alert, operativo dall'inizio del 2024 e attualmente attivo per incidenti nucleari, incidenti importanti in stabilimenti industriali, il collasso di una grande diga, l'attività vulcanica nelle aree di Campi Flegrei, Vesuvio e all'isola di Vulcano.
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