"La libertà di espressione è al centro del Digital Services Act (Dsa), che stabilisce le regole per gli intermediari online per contrastare i contenuti illegali, salvaguardando la libertà di espressione e d'informazione online: nessuna disposizione del Dsa obbliga gli intermediari online a rimuovere i contenuti leciti".
Lo dichiara all'ANSA un portavoce della Commissione Europea in risposte alle accuse del patron di Facebook, Mark Zuckerberg. "La moderazione dei contenuti non significa censura", sottolinea il portavoce.
"Il Digital Services Act - prosegue il portavoce - impone la trasparenza sui criteri di moderazione dei contenuti e sulla loro attuazione, comprese le pratiche di "shadow banning". Quando un account viene limitato, l'utente deve essere informato e ha il diritto di impugnare la decisione". Il Dsa, inoltre, richiede "un meccanismo di reclamo equo e trasparente per gli utenti". Se un account viene sospeso, l'utente "ha il diritto di contestare la decisione". Ciò significa che le decisioni "non devono essere arbitrarie e che gli utenti hanno la possibilità di proteggere la propria presenza online". Infine, poi, c'è la questione di "affrontare i pregiudizi negli algoritmi di raccomandazione". Il Dsa - conclude il portavoce - ha introdotto "nuovi strumenti per valutare e correggere i pregiudizi nei sistemi di raccomandazione". Queste disposizioni mirano a creare un'esperienza online "più equa e rappresentativa", rispettando la diversità e l'individualità di tutti gli utenti.
A quanto si apprende, Meta, società madre di Facebook e Instagram, ha inviato alla Commissione europea un'analisi del rischio su "potenziali cambiamenti delle politiche di moderazione dei contenuti". L'Ue si è dotata di una normativa, il Digital Services Act, che regolamenta la moderazione dei contenuti online, prevedendo tra l'altro una serie di norme per migliorare il meccanismo di segnalazione dei contenuti illegali.
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