E' la pesca industriale fatta da una manciata di Paesi ad alimentare la grande isola di plastica che galleggia nell'Oceano Pacifico settentrionale: lo indica l'analisi di oltre mezza tonnellata di detriti raccolti in mare. I risultati sono pubblicati sulla rivista Scientific Reports da un gruppo internazionale di esperti coordinato dall'organizzazione no-profit The Ocean Cleanup.
I ricercatori hanno analizzato 573 chilogrammi di detriti (oltre 6.000 frammenti di dimensioni superiori ai cinque centimetri) raccolti tra giugno e novembre 2019 nell'enorme isola di plastica che si è venuta a formare nel vortice oceanico noto come 'giro subtropicale del Pacifico settentrionale'. Ogni detrito è stato ispezionato alla ricerca di scritte o loghi che potessero in qualche modo indicarne la provenienza. Circa il 33% dei frammenti non è risultato identificabile, mentre il 26% derivava da attrezzatura da pesca (come confezioni per il pesce, distanziatori per le ostriche e trappole per le anguille).
Sebbene salvagenti e boe rappresentino solo il 3% degli oggetti presenti nell'isola di plastica, costituiscono il 21% della massa totale.
E' stato possibile identificare il Paese di origine per 232 detriti: il 34% arrivava dal Giappone, il 32% dalla Cina, il 10% dalla Corea del Sud, il 6% dagli Stati Uniti, il 6% da Taiwan e il 5% dal Canada. Tenendo conto dei modelli di circolazione delle correnti oceaniche, i ricercatori sostengono che la probabilità che derivino da attività di pesca è dieci volte superiore alla possibilità che derivino da attività svolte sulla terraferma.
Lo studio evidenzia dunque la necessità di una maggiore trasparenza da parte delle società che svolgono attività di pesca industriale, oltre che una maggiore cooperazione tra i Paesi per regolare la gestione dei rifiuti a bordo delle navi e il monitoraggio delle attrezzature abbandonate negli oceani.
Pesca sotto accusa, alimenta l'isola di plastica nel Pacifico
Lo prova l'analisi dei detriti