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L'universo di Mark Rohtko alla Fondation Vuitton

A Parigi viaggio nell'opera dell'autore in 115 capolavori

Redazione Ansa

È un viaggio dentro l'opera e dentro l'anima di Mark Rothko, la straordinaria retrospettiva, la più grande mai realizzata in Francia, che sarà visitabile fino al 2 aprile alla Fondazione Louis Vuitton a Parigi. È vedere in 115 opere tutte le sfumature della sua personalità, la ricerca della forma e del colore, ma soprattutto la ricerca di un equilibrio interiore mai trovato, fino al tragico epilogo. Sono opere che raccontano il primo periodo dell'artista, quando le immagini non avevano ceduto ancora completamente il passo al colore, ma gli influssi della ricerca e degli artisti del suo tempo, affioravano dal pennello. E allora consapevolmente e inconsapevolmente ecco che dai - già bellissimi - quadri della giovinezza europea, intravedere le forme e lo spirito del surrealismo e Salvador Dalì, del cubismo e di Picasso, di Matisse e di qualche cupezza trascendentale di Chagall. La prima retrospettiva in Francia dedicata a Mark Rothko (1903-1970) è stata quella del Museo d'Arte Moderna della Città di Parigi nel 1999, ma questa è decisamente la più esaustiva con opere provenienti dalle più grandi collezioni istituzionali e private internazionali, in particolare la National Gallery of Art di Washington, la Tate di Londra, il Phillips Collezione così come la famiglia dell'artista. Attraversa completamente tutti gli spazi della Fondazione, un palazzo di vetro e acqua immerso nel bosco a vele spiegate come una barca, da un progetto dell'architetto americano Frank Gehry, seguendo un percorso cronologico, ne ripercorre l'intera vita dell'artista dai primi dipinti figurativi. Si parte quindi dai dipinti ad olio dei primi anni Trenta, quando il giovane Rothko, nato Markus Yakovlevich Rothkowitz, era già venuto via dalla Russia insieme a tutta la sua famiglia di origini ebraiche per trasferirsi a New York, dove trovò volontariamente la morte il 25 febbraio del 1970.
    Scene intime e periferie urbane dai colori cupi, come le scene della metropolitana, che fanno tanto pensare al nostro Mario Sironi. La realtà cede presto il passo ad un espressionismo drammatico, in cui si specchia la condizione bellica. Ma è dal 1946 che Rothko vira decisamente e definitavemente verso l'astrazione, con una prima fase detta del Multiforme, che poi si traduce nella sua tipica essenzialità dei 'classici' degli anni '50 dove forme rettangolari si sovrappongono seguendo un ritmo binario o ternario. Prima nel segno del colore da cui traspare contemporaneamente l'universo della natura e delle emozioni in un unico segno, poi via via più cupe fino all'abisso del nero che inghiotte tutto il resto. Nel 1958 Rothko ricevette l'incarico di realizzare una serie di murali per il ristorante Four Seasons progettato da Philip Johnson per il Seagram Building - incluso Ludwig Mies van der Rohe guida la costruzione a New York. Rothko alla fine rinuncia a consegnare l'ordine e conserva l'intera serie. Undici anni dopo, nel 1969, l'artista donò nove dei suoi dipinti alla Tate. Questi dipinti, che si distinguono dai precedenti per le loro tonalità rosso intenso, costituiscono una stanza dedicata esclusivamente al suo lavoro all'interno delle collezioni, ed il set è presentato eccezionalmente in mostra. Inoltre la mostra è arricchita anche dalla presentazione filologica della prima "Rothko Room" che nel 1960 la Collezione Phillips dedica al pittore una sala permanente. Assolutamente unica e imperdibile. (ANSA).
   

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